lunedì 27 gennaio 2014

27 GENNAIO - IL GIORNO DELLA MEMORIA


27 GENNAIO - RICORDIAMO


Dal sito SPIEGEL-ONLINE


Nel 1947 venne ritrovata da un ex internato e miracolosamente intatta, una bottiglia contenente 22 disegni dentro una baracca vicino ai forni crematori del lager di Auschwitz-Birkenau.
Ogni disegno rappresenta un momento della vita del campo, dall'arrivo dai treni, alla separazione delle famiglie, alla conta dei prigionieri, all'attività dei forni crematori, i cadaveri, le violenze delle SS.
Sono disegni fatti a matita da uno sconosciuto, sicuramente eseguiti di nascosto, curati nei dettagli, con rari particolari colorati. 
Adesso sono stati riuniti in un libro: The Sketchbook from Auschwitz.





Monumento alle vittime di Terezin (Theresienstadt in tedesco)


Terezin (Theresienstadt in tedesco) si trova a sessanta km. verso nord da Praga, nella attuale Repubblica Ceca. Voluta dall'imperatore d'Austria Giuseppe II d'Asburgo Lorena e nata come città-fortezza, è stata costruita negli anni che vanno dal 1780 al 1790. In  entrambe le  Grandi Guerre mondiali, Terezin fu utilizzata come Campo di Concentramento; nell'ultima in particolare fu quasi un passaggio obbligato verso Auschwitz per gli ebrei che riuscivano a sopravvivere alle condizioni disumane in cui erano costretti (verso la fine della guerra anche un'epidemia di tifo esantematico).
Anche qui furono ritrovati perchè nascosti nelle pareti delle case, i disegni e le poesie dei tanti bambini - si parla di oltre 15.000 - che transitarono nel campo. Solo in 100 si salvarono. 




 
Uno di questi fu PAVEL SONNENSCHEIN, figlio di Hugo - un medico specialista in malattie mentali e nervose -  e di Trude (Gertrude) Sonnenscheinova (Mayer), nato il 9 aprile del 1931, prelevato con la famiglia l'8 aprile del 1942 dalla sua casa di Piazza Malinovského n° 5 di Brno e portato a Terezin per poi essere trasferito il 23 ottobre del 1944 ad Auschwitz. Morì quello stesso giorno. 
(Stessa sorte toccò al resto della famiglia. Il fratello Otto, anche lui trasferito assieme a Pavel ad ai genitori, forse perchè più grande - aveva 17 anni - fu spostato a Buchenwald e fu l'unico a sopravvivere all'olocausto, anche se morì nel 1945.)


Della piccola Eva invece in rete non si trova che la stessa identica frase un po' dappertutto:  
"Eva Pickova nata a Nymburk il 15 maggio 1929, deportata a Terezin il 16 aprile 1942, morta ad Auschwitz il 18 dicembre 1943" come se questa manciata di dati potesse raccontare tutti i sogni e le speranze di una bambina. Un po' poco quello che c'è rimasto, a parte la voglia di vivere rimasta dentro la sua poesia:


La paura

Di nuovo l'orrore ha colpito il ghetto,
un male crudele che ne scaccia un altro.
La morte, demone folle, brandisce una gelida falce
che decapita intorno le sue vittime.

I cuori dei padri battono oggi di paura
e le madri nascondono il viso nel grembo.
La vipera del tifo strangola i bambini
e preleva le sue decime dal branco.

Oggi il mio sangue pulsa ancora,
ma i miei compagni mi muoiono accanto.
Piuttosto di vederli morire
vorrei io stesso trovare la morte.

Ma no, mio Dio, noi vogliamo vivere!
Non vogliamo vuoti nelle nostre file.
Il mondo è nostro e noi lo vogliamo migliore:
Vogliamo fare qualcosa. E' vietato morire!









Edito dalla Fandango Edizioni, è dello scorso anno  il libro  “16.10.1943. Li hanno portati via ”. Raccoglie lettere foto, immagini di vita familiare e frustranti tentativi di ricerca da parte di genitori, zii e nonni di quei bambini ebrei portati via in ottobre e uccisi nelle camere a gas. 
Grazie al Progetto Storia e memoria della Presidenza della Provincia di Roma, il materiale è stato portato a Roma . Lodevole progetto, ma ci sono altri morti di altre etnie, meno coese della ebraica, meno "desiderabili", di cui non conosciamo neppure qualche nome, o almeno sono in pochi a conoscerli.  
Penso ai Rom, ai Sinti che si stimano aver avuto almeno 500.000 vittime. Anche loro avevano una parola per quello che stava accadendo: Porrajmos («grande divoramento»), oppure Samudaripen («genocidio»). Ebbero anche il privilegio di essere uccisi in camere a gas mobili, montate su furgoni nel centro di sterminio di Chelmo, in Polonia, oltre ai Campi storici di sterminio.
Penso agli omosessuali (almeno in 10.000 portavano il Triangolo rosa simbolo della loro "colpa") anche se alcuni dei loro nomi restano nella storia: per una forma contorta di giustizia (l'omosessualità era considerata un reato minore), passarono dai campi di concentramento nazisti alle prigioni. 
Anche per loro, come per le vittime ebraiche  e quelle Rom-Sinti, esiste un monumento per ricordarle a  Berlino. 






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