sabato 29 novembre 2014

IN CUCINA - VLADIMIR HOLAN


L'intera poesia di Holan ci restituisce una desolazione colpevole. Non c'è segno di redenzione, non può esserci nonostante la titubanza espressa da quei puntini sospensivi della chiusa.
Ci aspetteremmo quasi che arrivasse quella piccola "donna laboriosa" che in Debravo riesce a lenire quel dolore che affligge il poeta ma la differenza di vita e d'età, qui non lascia nessuno spazio alla speranza: il vuoto della stanza ormai odia chi se l'è lasciato dietro.
Una poesia forte con uso di vocaboli altrettanto forti (odio, esige, infamia, rattrappito, sbavano) tranne nell'ultima sestina. Qui il dire del poeta di fa dolce.




Vladimir Holan nasce il 16 settembre 1905 nella città di Praga al tempo della guerra russo-giapponese.  Sua madre lo battezza con un nome di simpatia per la Russia: Vladimir.  Imparerà a odiere i russi ed il suo nome.
Trascorse la sua infanzia in un piccolo villaggio, Padolì, nella Boemia centrale. E' un percorso che deve fare tutti i giorni per andare a scuola che passa attraverso un bosco, un lago calmo e misterioso, un castello spettrale:  senza dubbio lascia il segno su un bambino. Frequenta la scuola superiore a Praga, poi lavora come assicuratore per sette anni, come redattore della rivista Zivot (Life), fino al 1933.  Nel 1939 si dedicherà interamente alla letteratura nella redazione della rivista PROGRAMMA 90, dove resta per un anno. Dopo il 1945 si esclude dalla vita letteraria del paese. E' accusato di praticare un “formalismo decadente”, così Holan si chiude in casa da dove esce solo in casi eccezionali, ma sfrutta in modo costruttivo quegli anni continuando il suo dialogo con il mondo e l'uomo, quale sia.
E' considerato il più importante poeta ceco e tuttavia straniero nel suo stesso paese, vegeterà nel caos degli anni del dopoguerra, sopravvive scrivendo traduzioni e inghiottendo l'umiliazione nel silenzio dei suoi versi. Ma a poco a poco le sue cerchie si allargano, perché difficilmente si può tenere segregata una tale parola. Nel 1967 viene tradotto per la prima volta in Francia da Dominique Grandmont ed ottiene una immediata venerazione, che travolge gli ostacoli della critica. I suoi lettori sono come frequentatori di catacombe, i suoi scritti sono come testi sacri e segreti da diffondere. I tragici eventi della primavera di Praga del 1968 lo rendono un poeta nazionale, una voce della resistenza all'oppressione. Allora i suoi libri vengono letti avidamente, ma è troppo tardi per Holan, che non ambiva più alla gloria e quando si parlò di lui per un possibile premio Nobel, era chiuso in un silenzio ancora più profondo, rinunciatario a sperare.
Subì sia il nazismo nero che il comunismo rosso. Odia visceralmente tutte le ideologie. Per lui la conoscenza non esiste, si vive nell'illusione. Su di lui graverà la perdita della figlia Katerina, purtroppo affetta dalla sindrome di Down, nell'aprile del 1977. Holan ne sarà così devastato da coprire anche la morte della nazione ceca abbandonata ai sovietici dagli occidentali. Morì il 31 marzo 1980 dopo una lunga malattia che gli impediva qualsiasi movimento.







IN CUCINA

Manchi da quasi un anno… Entrare ti faceva paura…
E quando lo hai fatto, il vuoto un tempo implorante,
poi disdegnato, sùbito ti ha preso in odio
e con ostinazione esige che tu sconti
la tua presenza con la tua presenza…
Qui tutto va a tua infamia:
il linoleum, le fascine per accendere il fuoco, la mosca rinsecchita,
la muffa del pane, l’aceto forte delle crepe
e l’acetosella delle macchie e la concia del tempo rattrappito
e le ragnatele che sbavano dai roccoli degli angoli
e giù giù il silenzio, dove brilla
solo nel fondo, proprio lì, la luna…
Ma in mezzo a tutte queste cose (con crudele
certezza, con la più comune e dunque più segreta
e come perpetua certezza) scorgi all’improvviso
una tazza da caffè con tracce di rossetto
dove per l’ultima volta, posandosi, si strinsero
le labbra di chi ti ha lasciato…


da “In progresso”, 1964, in “Poesia due”, Guanda Editore, 1981
(Traduzione di Serena Vitale)


V KUCHYNI

Nebyls tu málem rok... Bál ses sem vstoupit..
A jen jsi tak udělal, prázdnota kdysi žadonící
a potom zhrzená zanevřela teď na tebe
a svéhlavě se dožaduje, abys odpykával
svou přítomnost svou přítomností...
Všechno je tady k tvému pohanění:
linoleum, třísky na podpal, vyprahlá moucha,
chlebová plíseň, zabřesklý ocet trhlin
a šťavel skvrn a tříslo staženého vzduchu
a z čihadla koutů prskající pavučiny
a docela vespod ticho, zrovna tam,
kam svítí měsíc jenom ve dne...
Však mezi těmi věcmi spatříš náhle
(s krutou, nejvšednější, a tedy nejtajemnější
a jakoby doživotní určitostí)
kávový šálek a na něm stopy po líčidle,
kde přitiskly se kdysi naposled
rty té, která tě opustila...



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