domenica 4 giugno 2017

IL RITORNO DEL FIGLIO NEL SOGNO - GESUALDO MANZELLA FRONTINI


"Come sempre, è necessario essere critici nei confronti delle nuove idee, recepire il buono - secondo il nostro modo di essere - e rigettare il resto."
Con questa frase, chiudevo il post sul Futurismo di Marinetti. Certo, oggi questo comportamento sarebbe semplice da seguire, almeno dalla maggior parte delle persone, ma nel 1909? 
Quando si è stanchi dei vecchi modi di scrivere e non è possibile cambiare perchè i critici ti spezzano, liquidandoti con "visionario", "incomprensibile", "incapace" e non trovi nessuno che considerino i tuoi versi, i tuoi racconti, la tua musica, i tuoi quadri come avanguardisti, come si vive la poesia, la prosa, la pittura?
Una risposta possiamo trovarla in Gesualdo Manzella Frontini (Catania, 28 ottobre 1885 – Catania, 2 settembre 1965.) Ma chi era costui? 





Poeta, giornalista , scrittore, laureato in lettere e diplomato in filologia, insegnante nei licei classici di Prato, Luino, Cassino e Catania («Cutelli» e «Spedalieri») nonché nel liceo dell'Istituto San Michele di Acireale, Gesualdo Manzella Frontini diresse i giornali romani «L'idea liberale» (1914), «Le fonti» (1918), «Corriere africano» (1930) e collaborò a numerosi giornali e riviste, tra cui «Delta», «Vita nova», «Popolo di Roma», «Anthologie», «Lavoro fascista», «Corriere emiliano», «Ausonia», «Misura», «La rassegna», «Il resto del Carlino», «Novella», «Corriere della sera», «Corriere di Sicilia», «Popolo di Sicilia», «La Sicilia», «L'ora», «Giornale di poesia», «La fiera letteraria» e «Poesia», la rivista di F. T. Marinetti. Figura importante di inizio secolo nel panorama letterario, anche se oggi dimenticato, già nel 1904 pubblicava una propria raccolta di poesie a versi liberi (Novissima Semi ritmi).

“ Nel gennaio del 1907 io lanciavo un manifesto che preludeva la pubblicazione d'un giornale letterario, “Critica ed Arte” forse non ignoto a qualcuno di voi. Il manifesto fu accolto con ostilità molte: esso portava fra le righe frasi stilizzate la rivolta futurista, ma non ne conteneva il nome, né la prepotenza aggressiva. Ebbi pochi aderenti e tra questi un giovane di genio, Filippo Tommaso Marinetti, che fu collaboratore nel mio giornale e che mi divenne amico affettuoso.
Era trascorso un anno quando il Figaro, il giornale diffuso parigino, lanciava al mondo col nome di futurismo un grido di elevazione di rinnovamento di nuovo orientamento, e il Marinetti eroicamente affrontava con la stessa idealità e con mie identiche la lotta ch'io non avevo saputo sostenere...”
Il manifesto lanciato dal Manzella nel gennaio del 1907, prima ancora di quello del Marinetti del 1909, non ha fortuna e la rivolta - futurista - ivi contenuta, viene accolta senza entusiasmo.  “ Così nasceva il futurismo. Il proclama (del Marinetti) piacque a me, ed era umano che fosse piaciuto, poiché io vi leggevo la eco dell'anima mia, eco lontana che datava fin dal 1903 quando pubblicavo il mio primo volume dal titolo “Novissima – semi ritmi” ove per primo in Italia cantavo in metri liberi canzoni che la critica giudicò audaci, sconvenienti, poco sereni... Io intesi il bisogno di scrivere al Marinetti non già per aderire – ch'egli era stato un mio efficace collaboratore un anno prima – ma per ricordargli che sotto la forma di aggressiva irruenza egli non faceva che ripetere quanto avete voi già inteso nel mio manifesto..." 
  
(Futurismo e Passatismo - appunti per la conferenza al Kursal di Luino - 29 marzo 1913)


E vorrei infine integrare questo post con un suo racconto non solo per la delicatezza del tema trattato, ma anche per lo stile così attuale in cui è stato scritto quasi da ingannare uno dei selezionatori di libri delle attuali case editrici.





        IL RITORNO DEL FIGLIO NEL SOGNO

Io ero entrato nel sogno quando il mio figliuolo era ancora per via, ed ecco, stava davanti la nostra casa, ma s'era poi fermato in una vasta piazza perché la casa non c'era. Io vedevo infatti la madre in cucina e altri in altri posti, come in separate stanze scoperte, dalle mura certo di vetro, trasparenti: non erano stanze.
Egli veniva incontro a me.
Insolitamente chiuso quel suo volto ch'era stato sempre chiaro e aperto al sorriso: solo una viva fiamma d'oro, come non mai solare: erano i capelli mossi dal vento o forse da una carezza di dita invisibili.
Aveva le mani in tasca, mi sembrava meno alto e camminava lento quasi strisciava sul pavimento i piedi, ch'erano coperti dagli ampi pantaloni marinari che si afflosciavano in basso, oltre le ginocchia, come sacchi. Sul bavero della giubba da un solo lato due stellette.
Ci abbracciammo, stretti. Egli non diceva nulla, io gli carezzavo il volto e le mie mani erano trepide o agitate, come volessi fissare i tratti riplasmare nella memoria i particolari.
Gli dissi — e lo guardavo per un momento distaccandomi da lui —"Stai bene, caro, ma è strano, mi sembri più piccolo, meno alto».
Egli non rispose, ma sollevò le ampie campane dei pantaloni, dispiegandone le pieghe, poco, e li fece ricadere subito, con un gesto di pudore.
Erano apparse per un attimo due scarpe di riposo, mal ridotte, quasi due pantofole di pelle sciupata e irrigidita dalla salsedine.
Poi disse: "non ho più i piedi per navigare, papa".
Ma non lo disse con parole, ma io tuttavia intesi.
Lo abbracciai ancora e lo stordivo, che dentro di me risuonavano, come in un auditorium capace, vibrazioni metalliche, le sillabe appena pronunciate.
« Faremo degli arti nuovi, né alcuno si accorgerà di nulla. Tanto tu devi forse correre?
Andrai piano. Riprenderai la tua statura, sei bello figlio, come prima sei bello e sei sano, stai tanto bene con la divisa fuori ordinanza ».
Egli mi guardò serio poi mostrava il volto più aperto e sorrideva e gli si illuminavano gli occhi leonati.
Disse: «A Taranto i marinai d'una tradotta si divertivano e sogghignavano perché io andavo piano e strisciavo i piedi sul marciapiede della Stazione. E cantavano una canzoncina di scherno. Sono salito nel vagone. Non capivano ch'io ero un ufficiale, vestito così come sono, in malo arnese veramente. Tirai fuori il mio cronometro », fece l'atto: io rividi il cronometro infrangibile e impermeabile che gli avevo regalato al suo primo imbarco avventuroso nel grande sottomarino, e mi era apparso felice del dono inatteso, m'aveva baciato, figlio mio. Poi continuò: « se fra dieci secondi non mi avete chiesto scusa dell'offesa.. Come mi avessero riconosciuto per una improvvisa illuminazione, due o tre per tutti biascicarono: ci perdoni, signor Tenente ».
« Erano bravi ragazzi, sono tutti bravi ragazzi i marinai, e volevano aiutarmi a ridiscendere. Io non volli perché dovevo mostrare di essere in gamba. E sai, papà, quando fummo speronati, uno dei miei ragazzi, ricordo che stette ad ascoltare i palpiti del mio cuore, fino all'ultimo istante della mia morte ».
Io gli chiesi ancora, e lo carezzavo e lo toccavo, e la mamma sfaccendava e le sorelle andavano per le stanze trasparenti, ma senza nulla vedere:
« Dove avvenne, figlio mio? ».
Come in una sequenza cinematografìca io assistivo alla favolosa straordinaria avventura rievocata dalle sue parole. Vidi un edificio tempestato di borchie d'argento e di bronzo, ch'io non avevo mai notato.
Disse:  « Vedi quell'argento   e   quel   bronzo?   Quelle borchie son fatte delle nostre medaglie ».
Io non capivo.
Mi guardava arguto e stupiva della mia meraviglia. E intanto la facciata del palazzo prendeva l'aspetto d'un sarcofago imponente, immane, interrotto da colonne di scheletri umani che non davano alcun ribrezzo, ma dolci e pietosi alla vista, candidissimi come le immagini inconsistenti delle allucinazioni, quasi ostie intatte.
Ruppe la soffice atmosfera incantata una voce di bimbo.
«Mamma, mamma, è ritornato il figlio della signora: è ritornato Ardengo ».
Io dissi, fra me, e poi volli dire forte: « La Madonna ti ha fatto la suprema grazia che tu hai invocato, ma l'ha voluta pagata la grazia, cara».
Lei infatti doveva avere udito di là dal mondo il mio richiamo.
Sotto le dita, che passarono ancora tra i capelli di mio figlio, sensibilmente, sentivo il calore del suo capo nella carezza.
Così mi svegliai e nelle palme è rimasta viva la sensazione morbida dei capelli biondi.

dal sito https://francescopaolofrontini.blogspot.it                                                                            

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