sabato 19 novembre 2011

IL QUADERNO NUOVO - BELLA ACHMADULINA

domenica, 07 marzo 2010
IL QUADERNO NUOVO - BELLA ACHMADULINA

Autrice e poesia segnalatami dall'amica Lidia: un vero regalo, mia cara amica, grazie.

Una parola per i lettori italiani...
Le buone parole sono rivolte a tutti, anche ai non lettori. Prima di visitare l'Italia era già forte in me l'influenza di questo Paese. L'influsso di questo Paese sul nostro destino di poeti, scrittori e artisti russi comincia prima ancora di coincidere con il concetto geografico dell'Italia.
Pure, negli ultimi anni ho avuto modo di visitare l'Italia più di una volta e ho visto molti capolavori dell'arte italiana, le fantastiche bellezze naturali e la simpatia delle persone.
Tratto dal sito www.dizionariodicifrematica.it
Vi riporto questo piccolo brano perchè a me ha portato alla riflessione opposta e cioè che è la poetica russa che affascina noi italiani, senza che coincida con il concetto geografico/politico della Russia.





Bella Achmadulina nasce a Mosca nel 1937, anno in cui l’intera Russia celebra il primo centenario dalla morte di Pushin, la cui opera influenzerà la poesia di Bella Achmadulina  e fornendo la base di uno stile di scrittura molto particolare.
Oggi è, e non solo in Russia, la poetessa più acclamata, più recitata, più applaudita, più amata. Delle sue poesie i giovani russi ne hanno fatto canzoni, della sua bellezza i suoi coetanei hanno fantasticato, il suo talento i critici hanno declamato. E lei ha restituito ai suoi amici e ai suoi lettori tutta la forza, repressa per settant’anni, della lingua e della letteratura russa.
Entra in scena alla fine degli anni cinquanta, inizio anni sessanta, con la freschezza della sua giovane età, con la potenza della sua scrittura, con la musica delle sue strofe. Intorno, i relitti e il gelo della guerra. Poeti, amici, scrittori, artisti: morti senza speranza, esiliati senza ritorno, muti senza pensiero. La sua irruzione è inarrestabile, scuote con le parole quanto sembrava assopito da anni, trova quanto altri sembrava avessero perso per sempre, e restituisce alla poesia, a quelli prima di lei e a quelli che con lei hanno lottato, la dignità dell’arte, la libertà di pensiero, la "nitida semplicità della grandezza". Quanto si era perso lungo la strada, fin dagli anni venti, nella costruzione di una cultura russa a passo con l’Europa, Bella Achmadulina con il suo piccolo gruppo di amici lo riprende, lo legittima, e gli dà vita.
Con lei non si tratta più e non soltanto di presentare una poetessa, di esaminare la sua poetica, di formalizzare la sua lingua, con Bella Achmadulina si tratta di intendere gli effetti della sua decisione, di raccogliere i frutti della sua fioritura, di predisporre teatri, cinema, case editrici e discografiche, gallerie d’arte e musei per accogliere e ascoltare quanti si affermeranno con lei e dopo di lei. Questa la sua grande missione: la libertà di parola di una regione che ha contribuito e che contribuirà in maniera straordinaria alla fondazione dell’Europa nuova.
Di lontana ascendenza italiana – il suo bisnonno materno si chiamava Stopani – l’Achmadulina fin dall’inizio è poetessa senza confini. E la giovane letteratura russa, vecchia di tre secoli nella sua espressione più alta, con lei sembra proseguire ciò che da millenni vive nelle arti e nelle lettere del Mediterraneo, fonte di civiltà e di tradizione. È, certamente, oggi il momento propizio perché il tentativo d’introdurre il rinascimento in Russia possa funzionare e produrre ciò che in Europa si era inceppato proprio negli ultimi tre secoli. Quando infatti in Europa incombeva l’illuminismo, la Russia di Pietro il Grande tentava il rinascimento con la fondazione di San Pietroburgo. Tentativo riuscito solo in parte e rimasto in sospeso. La vastità delle sue terre, le distanze, il clima, lo zarismo prima e il realismo rocialista poi hanno fatto il resto. Nel secolo scorso scrittori e artisti si formarono in Italia, all’inizio di questo, fino agli anni venti, il fermento culturale in Russia con i futuristi e con l’avanguardia andava di pari passo con l’Europa. Poi, dopo la rivoluzione di Ottobre, milioni di persone hanno sperimentato sulla loro pelle e con la loro vita la costrizione e hanno conosciuto il mutismo, termine fin troppo ricorrente nell’opera dell’Achmadulina ("Grido, ma come il respiro d’inverno/si condensa sulle labbra il mutismo").
Iscritta all’istituto letterario Gor’kij, espulsa prima di completare di studi per scarso profitto in marxismo-leninismo e poi riammessa, termina gli studi nel 1955. Le sue poesie, quelle degli anni sessanta in particolare, sono dedicate ai suoi immediati predecessori: Marina Cvetaeva, Boris Pasternak, Osip Maldel’stam. Senza dimenticare, negli anni ottanta, le poesie in memoria di Aleksandr Blok e dell’artista N. N. Sapumov. Su ciascuno di essi Pushin, maestro da imitare, da ricordare, da alimentare, verso cui inchinarsi con l’umiltà del poeta.
Ciascuno di loro ha dato la vita per la poesia. E ritroviamo Pasternak nei boschi di Peredelkino che "solo dinanzi ai cieli invocava il perdono/per il peccato della nostra mente imperfetta" e Marina Cvetaeva nei suoi ultimi giorni a Elabuga, città cieca e maledetta ("Dormi, bimbo, taci, bimba mia/se no arriva Elabuga, la cieca"), e Mandel’stam, "il giudeo in cui Russia e musica si son destate". E Blok "Cosa ha visto oltre la tenebra, oltre il bruciato?/ Di quale luce si è inebriato?". "Galleggia, o rosa, adornando l’abisso" nel mare di Finlandia nel quale scomparve per sempre Sapumov. Sacrifici in nome della libertà, vite spezzate per non compromettere l’eternità. E quanti altri! E quanto dolore! Poiché loro era la grandezza, la semplicità, la poesia.
Bella Achmadulina non si rassegna: la memoria intaglia nella pietra il suo messaggio: non ciò che è stato ma ciò che è, e che rimane indifferente alla cancellazione della storia.
I colpi inferti alla letteratura, alla poesia e all’arte prima dalla rivoluzione, poi da Stalin, ancora da Zdamov con le regole del realismo socialista e in seguito, anche dopo il primo disgelo del ’54, con Chruscëv fino al ’64, e con Breznev, hanno comunque favorito una certa produzione artistica di qualità. Libri, riviste e poesie venivano diffusi con i samizdat e cioè non ufficialmente, battuti a macchina su carta velina. Le vicende dell’Acmatova, Nabokov, Salamov, Platonov, Solzenicyn, Brodskij hanno contribuito a completare il disgelo e a scongiurare la censura.
Libri pubblicati in Occidente ora escono anche in Russia e viceversa. Le poesie di Bella Achmadulina sono nelle versioni inglese, tedesca, francese e ora anche italiana in un’ampia raccolta pubblicata da Spirali dal titolo Poesia nella traduzione di Daniela Gatti.
Fino alla fine degli anni ottanta i suoi libri circolavano clandestini, i dischi con incise le poesie recitate sono stati ascoltati dai giovani, poeti, artisti e scrittori e non. Il primo libro di poesie pubblicato in Russia da Bella Achmadulina risale al 1962 e ha come titolo La corda. Ne seguono altri ma non tanti, solo cinque, nei successivi venti anni.
Quando uscì La corda, quel gruppo di poeti allora poco più che ventenni – oltre alla Achmadulina vi erano Evtusenko, che la poetessa sposò in prime nozze, Andrej Voznesenskij e Robert Rozdestvenskij – portarono nuova vita nella cultura sovietica. Per la prima volta, con l’Achmadulina ed Evtusenko le poesie venivano recitate sui palcoscenici e negli stadi, di fronte a migliaia di persone, erano un grido di libertà dopo decenni di assordante silenzio. Poesie come poemi, come fiabe. Le prime poesie dell’Achmadulina sono narrazioni in versi dedicate ad amici, a maestri, a poeti più sfortunati e indubbiamente grandi. La grandezza, dinnanzi a cui il poeta si prostra, è la grandezza di chi, venuto prima di lui, ha vissuto senza tradirsi. E tutto questo infervora e infiamma l’animo di migliaia di giovani perché ciascuno, quando avverte che le corde della sua vita stanno per essere in qualche modo accordate si espone ad ascoltare la sua musica, la sua sinfonia, il suo valzer o che dir di voglia.
La popolarità dell’Achmadulina muove forse da qui. Ascoltarla mentre recita, sia pure in lingua russa, scuote l’indifferenza di chi non si crede poeta, contrasta la fragilità e forgia il carattere, qualunque cosa accada, qualunque sia la storia. Ciò che Bella canta è il dolore che mai può volgersi in sofferenza. Può cantarlo perché non se ne vergogna, perché la sua voce trema quando lo evoca mentre recita. E intorno a lei tutte le cose sono vive, è viva la pioggia nella bellissima poesia La fiaba della Pioggia, è viva la luna, gli alberi, il giardino, il giorno, la notte perché nulla agli occhi del poeta passa inosservato. Se non fossero vive, esisterebbero le cose? Così come l’inverno o l’autunno, come la casa e il lampadario o i bicchieri... Come quell’antiquario che a duecento anni è "immortale per dolore e per amore". Anche lui vive.
Poi il silenzio. Le cose lasciano pensare. Il foglio è là, nell’intervallo di due albe, dove due ombre combaciano solo un istante, lungo il volgere del giorno. È ancora bianco, finché non s’incontrano la tempesta e l’aggettivo, finché non si udrà "improvviso un rapido fragore, un istantaneo preciso sparo di puntini sospensivi". E se il poeta imbratta quel foglio... "Io non c’entro, questo è un talento senza pari, al servizio d’altri dei". Il talento, ciascun poeta sa di non potere farne a meno. Condizione della scrittura, dell’itinerario. Ciò di cui si preoccupa il poeta è di restituire, mille volte tanto, il talento che gli è stato donato. E questa è una grande questione della poesia russa. "Mi misi a vivere, e vivrò a lungo./ Da quel giorno chiamo tormento/ terreno ciò che non ho cantato/ il resto lo chiamo beatitudine".
Fabiola Giancotti

Mi scuso per non aver saputo riassumere questo scritto  tratto dallo stesso sito citato sopra, ma è talmente avvincente e ben strutturato che è una sofferenza tagliarne via anche solo una parte. Onore all'autrice che vi ho riportato.
E' interessante come sito, peraltro, vale la pena di approfondirne la conoscenza.







IL QUADERNO NUOVO


Davanti al foglio bianco
resto confusa e timida
Così davanti alla porta del tempio
si ferma il pellegrino
Così davanti al viso di una vergine
abbassa gli occhi il dongiovanni.
Guardo avidamente e con amore
come uno scolaro, il quaderno nuovo
per tormentarlo con la penna
scarabocchiando parole senza senso.
Volto la pagina
facendo scempio.
La mia scrittura
si diverte a dare scandalo.
Addentrandomi nel folto del quaderno
come nel folto di un bosco, io mi perdo
e porto da sola tra i fogli luminosi
la mia trionfante pena.


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#1  08 Marzo 2010 - 20:48

Cara Carla,
Sei molto gentile a ringraziarmi, ma non c'è confronto con la ricchezza delle tue proposte poetiche nè con la grazia con cui  ti fai sempre generosa pubblicitaria del valore altrui.
Un bacio enorme
utente anonimo

#2  08 Marzo 2010 - 20:49

Sono Lidia,sopra,sempre ripudiata da splinder...ufff non sono anonima!!!
utente anonimo

#3  08 Marzo 2010 - 21:11

Un giorno ci troveremo e ti porterò un libretto di istruzioni per disanonimarti.
Ma non ne hai bisogno: le tue parole scritte hanno un timbro di voce ed una tonalità che difficilmente possono essere scambiate per quelle di un'altra persona.
Contraccambio il bacio.
Carla
NATACARLA

#4  06 Aprile 2011 - 06:15

All'inizio della scrittura ci si trova in uno stato simile a chi si trova davanti la sacralità del tempio e la purezza della vergine; segue l'allitterazione (come uno scolaro, il quaderno nuovo) ... guardo avidamente, esprime un forte desiderio di scrittura... poi noto alcuni verbi: tormenta con parole senza senso (per chi?), fare scempio(di cosa?), dare scandalo ( a chi?) mi perdo nel folto del bosco, forse per significare qualcosa difficile da scigliere, porto da sola (forse la solitudine dell'artista) che cosa? la mia pena....
e ancora il quaderno che prima era bianco ora diventa luminoso, forse per significare che mediante la scrittura si passa dal vuoto, dal non sapere alla luce della conoscenza, della verità.
Forse i diversi gradi della scittura: la verginità iniziale, l'oggettività della scrittura, l'illuminazione finale che ne consegue!
Giuseppe
utente anonimo

#5  06 Aprile 2011 - 23:21

Ricordi tu, Giuseppe, quando ti dettero il tuo primo quaderno da portare a scuola, quello da consegnare alla maestra (alla suora) che doveva essere quello della bella? Ricordi quanto tremavano le mani quando prima della fine delle lezioni, c'era quel momento magico di silenzio assoluto, quando tutti erano impegnati a trascrivere e senza errori, quella che era stata la lezione del giorno: il pensierino, il disegno, a piacere per chi finiva prima della campanella.
E come ci si avventava, poi a casa su altri quaderni, e si riprovava la scrittura, con le enne e le emme rovesciate come faceva quel nostro compagno di classe, oppure a provare il ghirigoro che la maestra disegnava scrivendo l'acca maiuscola.
Quanto mi ha fatto disperare!!!
Ancora oggi un quaderno o un notes nuovi mi ispirano lo stesso timore e pur applicando la stessa attenzione di allora, qualche scarabocchio mi è proprio inevitabile.
La poesia mi riporta a questo ed alla classe, luminosissima, con un terrazzo enorme in cui però non si andava mai.
Suggestiva la lettura che ne hai fatto tu.
Grazie.

NATACARLA 


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