martedì, 14 aprile 2009
Si inizia così una nuova Tag, quella dei Racconti.
Spero che vi piaccia.
LA MAGIA DELLA GRAFITE
(di scrittori, matite e altre storie)
(di scrittori, matite e altre storie)
E sia, proviamo un po’ a vedere se c’è modo di capire.
O almeno di farsi capire.
Prendiamo un foglio bianco, liscio, steso, immacolato.
Anzi un pacchetto di fogli, che premendo la penna nella scrittura si segni anche il secondo, subito sotto, con un solco accennato da intravedere appena in controluce; lasciamo così una traccia ulteriore, di quelle che puoi notare solo se ci passi di piatto una punta di matita, come si faceva da piccoli per far comparire le monete nascoste sotto alla carta.
Sono questi segni buoni da archiviare, memorie invisibili sempre pronte all’uso per futuri attacchi di nostalgia, quando la bella copia si è persa nel tempo, distrutta, rubata o semplicemente dimenticata.
Invece quante promesse su quel primo foglio, così tante da non poterle nemmeno catalogare, da non volerle neanche contare.
Accendiamo poi la lampada sulla scrivania; ma non sia troppo forte l’illuminazione, che l’ispirazione ha bisogno di poca luce ma di molto ricordo.
Impugnamo infine la penna, qualche volta pesante alla mano come sasso; qualche altra veloce e leggera come aria, che non ti accorgi neanche di averla respirata.
Ecco, ora si parte, è il momento, un sospiro e via.
Qualche timido approccio, la prima parola che violenta quell’arrendevole bianco, e presto si è già lontani, ad improvvisare mostri che scalano montagne, a raccontare di ossa ritrovate che con antichi amori danzano insieme su sconosciute milonghe.
Nascono streghe, castelli nella nebbia, echi di flash, e ancora vicoli, chiassosi mercati colorati, o naviganti persi su mari fin troppo conosciuti.
Si narra di scommesse vinte e di premi perduti quando, al calar della sera, si raccoglie solo ciò che si è potuto o saputo seminare.
Di tutto ciò, e di tanto altro precario vivere scriviamo, parola dopo parola sino allo sfinimento.
Ma è gloria breve e volatile come lo è il pensiero d’amore dopo l’amore.
Sono solo rabberciate fantasie da collimare ad ogni riga per trovare una meta da condividere. Che sempre di fortuna regalata si scrive, come fosse altrui dote e non nostra vanità a parlare.
Tanto poi c’è chi penserà a trovare le giuste quadrature, e le figure distorte da specchi deformanti diventeranno come per miracolo ardite ed ammirate introspezioni; immagini, fotografie a colori, certo, ma ogni tanto sfocate quel tanto che basta per confondere il falso col vero.
Perché noi in fondo sappiamo bene che non sempre la magia della moneta riusciva; e spesso tra le mani sporche di nero restava solo una manciata di grafite.
Usata, ma sempre buona per altre fughe da rivelare.
O almeno di farsi capire.
Prendiamo un foglio bianco, liscio, steso, immacolato.
Anzi un pacchetto di fogli, che premendo la penna nella scrittura si segni anche il secondo, subito sotto, con un solco accennato da intravedere appena in controluce; lasciamo così una traccia ulteriore, di quelle che puoi notare solo se ci passi di piatto una punta di matita, come si faceva da piccoli per far comparire le monete nascoste sotto alla carta.
Sono questi segni buoni da archiviare, memorie invisibili sempre pronte all’uso per futuri attacchi di nostalgia, quando la bella copia si è persa nel tempo, distrutta, rubata o semplicemente dimenticata.
Invece quante promesse su quel primo foglio, così tante da non poterle nemmeno catalogare, da non volerle neanche contare.
Accendiamo poi la lampada sulla scrivania; ma non sia troppo forte l’illuminazione, che l’ispirazione ha bisogno di poca luce ma di molto ricordo.
Impugnamo infine la penna, qualche volta pesante alla mano come sasso; qualche altra veloce e leggera come aria, che non ti accorgi neanche di averla respirata.
Ecco, ora si parte, è il momento, un sospiro e via.
Qualche timido approccio, la prima parola che violenta quell’arrendevole bianco, e presto si è già lontani, ad improvvisare mostri che scalano montagne, a raccontare di ossa ritrovate che con antichi amori danzano insieme su sconosciute milonghe.
Nascono streghe, castelli nella nebbia, echi di flash, e ancora vicoli, chiassosi mercati colorati, o naviganti persi su mari fin troppo conosciuti.
Si narra di scommesse vinte e di premi perduti quando, al calar della sera, si raccoglie solo ciò che si è potuto o saputo seminare.
Di tutto ciò, e di tanto altro precario vivere scriviamo, parola dopo parola sino allo sfinimento.
Ma è gloria breve e volatile come lo è il pensiero d’amore dopo l’amore.
Sono solo rabberciate fantasie da collimare ad ogni riga per trovare una meta da condividere. Che sempre di fortuna regalata si scrive, come fosse altrui dote e non nostra vanità a parlare.
Tanto poi c’è chi penserà a trovare le giuste quadrature, e le figure distorte da specchi deformanti diventeranno come per miracolo ardite ed ammirate introspezioni; immagini, fotografie a colori, certo, ma ogni tanto sfocate quel tanto che basta per confondere il falso col vero.
Perché noi in fondo sappiamo bene che non sempre la magia della moneta riusciva; e spesso tra le mani sporche di nero restava solo una manciata di grafite.
Usata, ma sempre buona per altre fughe da rivelare.
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#1 15 Aprile 2009 - 08:57
E' SEMPRE INTERESSANTE L'ANALISI CHE UN'AUTORE FA DEL MODO IN CUI CREA QUELLO CHE SCRIVE... SPESSO RIVELA PIU' A SE STESSO, CHE NON AGLI ALTRI, QUELLO CHE GLI PASSA PER LA TESTA MENTRE SCRIVE. IO (E CREDO TANTI ALTRI, ORMAI) PUNTIAMO DIRETTAMENTE AL FOGLIO DI WORD CHE, DI TUTTA QUELLA POESIA DESCRITTA NEL BRANO, NE PERMETTE BEN POCA. SEMPRE, S'INTENDE, PER QUANTO RIGUARDA LA PRIMA PARTE. PER QUELLO CHE CONCERNE LA FANTASIA E I MERAVIGLIOSI VOLI CHE QUESTA PERMETTE, BEH!, CREDO CHE IL MECCANISMO NON CAMBI PIU' DI TANTO... CIAO. DIEGO
utente anonimo |
Ringrazio ancora una volta Carla per la gradita ospitalità che (immeritatamente) mi concede. Si Diego, ormai siamo tutti Word-dipendenti, hai ragione. Tuttavia sognare di essere artigiani di parole ogni tanto può far bene. Pensare al foglio bianco e vergine sotto alle mani, la matita (da artigiani veri, come muratori, come falegnami), e tutto il resto in testa. Sarà che apprezzo il segno grafico, il disegno in biaco e nero, come la bella calligrafia, anche questa è una forma di bellezza, non trovi?
Saverio
Saverio
utente anonimo |
Ufff, Saverio, se non la smetti di ringraziare, GIURO che ti cancello!
E poi non barare. Non è solo una banale genesi di un racconto, di uno scritto; c'è qualcos'altro, leggendo bene tra le righe.
Come dici tu, hai voluto "confondere il falso col vero". Sbaglio, forse?
Diego, sono contenta di trovarti qui in "prima linea", fuori dalla nostra consueta corrispondenza, ma con le stesse argute argomentazioni che spesso indosso come un miracoloso paio d'occhiali con cui mettere a fuoco le cose.
Sono grata ad entrambi del vostro passaggio e del vostro indugiare.
Carla
E poi non barare. Non è solo una banale genesi di un racconto, di uno scritto; c'è qualcos'altro, leggendo bene tra le righe.
Come dici tu, hai voluto "confondere il falso col vero". Sbaglio, forse?
Diego, sono contenta di trovarti qui in "prima linea", fuori dalla nostra consueta corrispondenza, ma con le stesse argute argomentazioni che spesso indosso come un miracoloso paio d'occhiali con cui mettere a fuoco le cose.
Sono grata ad entrambi del vostro passaggio e del vostro indugiare.
Carla
NATACARLA |