sabato, 13 dicembre 2008
Ed ecco alcune note da Wikipedia, visto che non è una autrice molto conosciuta:
Anna Andreevna Achmatova è lo pseudonimo di Anna Andreevna Gorenko. Nacque ad Odessa l'11 giugno 1889 e morì a Mosca il 5 marzo 1966. E' stata una poetessa russa, ma non amava l'appellativo di poetessa, perciò preferiva farsi definire poeta, al maschile.
Fece parte della Corporazione dei Poeti, un gruppo acmeista fondato e guidato dal marito, Nikolaj Gumilev, il quale sosteneva che la poesia dovesse essere espressione di lavoro artigianale, che chiunque, provvisto del necessario bagaglio tecnico, avrebbe potuto coltivare. Il movimento - che fu chiamato dai fondatori anche «adamismo», in riferimento al ritorno a un’originaria purezza di visione della realtà, dalla quale doveva scaturire la nuova poesia - fu battezzato «acmeismo» (da acmé, vertice) da un suo oppositore poeta simbolista, che intendeva deridere la presunta pretesa di elevamento di questi poeti. Il termine fu comunque accettato da Gumilëv che intese ribadire la necessità di immagine poetiche chiare e di un’espressione moderna e quotidiana, mentre Gorodeckij -anche lui fondatore del movimento - lo definì una lotta contro il simbolismo, «lotta per questo mondo sonoro, multicolore, mondo della forma, del peso e del tempo, lotta per il nostro pianeta la terra».
Nel 1938 il suo unico figlio, Lev, viene imprigionato in attesa di condanna a morte. Ogni mattina, per diciassette mesi, la Achmatova si reca davanti al carcere per avere sue notizie. Da questa tragica esperienza, condivisa con altre centinaia di madri, ne nasce un poemetto (Requiem). La sua poesia, dapprima intima e sentimentale, si fa espressione di un intero popolo sofferente. Il regime ostacolò la pubblicazione dei suoi testi, che vennero bollati di pessimismo nevrotico e di erotismo malato. Unica, tra i poeti della sua generazione, ad aver vissuto così a lungo, la Achmatova rappresenta la memoria e la sopravvivenza dello spirito della grande terra-madre russa.
IL SALICE
Io crebbi in un silenzio arabescato,
in un'ariosa stanza del nuovo secolo.
Non mi era cara la voce dell'uomo
ma comprendevo quella del vento.
Amavo la lappola e l'ortica,
e più di ogni altro un salice d'argento.
Riconoscente, lui visse con me
la vita intera, alitando di sogni
con i rami piangenti la mia insonnia.
Strana cosa, ora gli sopravvivo.
Lì sporge il ceppo, e con voci estranee
parlano di qualcosa gli altri salici
sotto quel cielo, sotto il nostro cielo.
Io taccio....come se fosse morto un fratello.
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ecco...ho trovato parole che scavano, per oggi il bottino è ricco:
Non mi era cara la voce dell'uomo
ma comprendevo quella del vento.
Grazie.
Non mi era cara la voce dell'uomo
ma comprendevo quella del vento.
Grazie.
brunforte |
semplici e intense parole poetiche per dire che siamo natura
RispondiEliminae ce lo dimentichiamo....
Concordo con la tua visione di questa poesia.
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