domenica, 20 dicembre 2009
IN UN MOMENTO - DINO CAMPANA
Due considerazioni, probabilmente stupide, ma tant'è...
Guardando le varie fotografie del poeta ho trovato questa sotto la più reale: non vi so spiegare il perchè, è una sensazione.
Forse risale ad un periodo in cui non aveva ancora conosciuto l'abisso del manicomio (a quei tempi non dovevano essere esattamente degli alberghi di lusso)
Scriveva Sibilla Aleramo: “L’ho riveduto così, dopo nove mesi, attraverso una doppia grata a maglia. Non ero mai entrata in una prigione. E’ stato un colloquio di mezz’ora, i carcerieri avevan quasi l’aria di patire sentendo lui singhiozzare e vedendo me irrigidita”.
Disse Dino: "Mi lasci qua nelle mani dei cani senza una parola e sai quanto ti sarei grato. Altre parole non trovo. Non ho più lagrime. Perché togliermi anche l’illusione che una volta tu mi abbia amato è l’ultimo male che mi puoi fare”.
Poi i suoi baffi: erano diffusi a quei tempi, ma all'età che sembra dimostrare qua sotto, sembrano più un desiderio di maturità, di voler essere preso sul serio, di amore in definitiva magari proprio di quella madre che gli preferiva il fratello.
Per quanto riguarda questa poesia, qualcuno mi sa dire se tra le varie interpretazioni che ne hanno dati i critici, danno un significato alle rose?
Io me le spiego come metafora di giorni e mi ricorda nei toni la poesia di Prevert "Cet amour" ma era stata già scritta? Campana, classe 1885 o Prevert, classe 1900: chi ha influenzato chi? (Sempre chi ci sia stata una influenza)
Peccato che ci siano - dicono - moltissime poesie rimaste incomplete ed inedite.
Falsa foto di Dino Campana Foto di Dino Campana
Lo scambio di persona è scusabile data la somiglianza tra i due
Figlio di Giovanni Campana, insegnante di scuola elementare, e di Francesca Luti (detta Fanny). Entrambi dal carattere molto forte, lui nevrotico e lei morbosamente attaccata al figlio Manlio, di due anni più piccolo di Dino.
A segnare da subito la vita di Campana sono dei disturbi nervosi, inevitabilmente legati dai rapporti coi genitori, che iniziano fin dai suoi 15 anni e che lo accompagneranno fino alla morte.
Nasce a Marradi, provincia di Firenze, al confine tra Toscana ed Emilia Romagna il 20 agosto 1885 e vi trascorre l'infanzia in modo apparentemente sereno.
Frequenta la terza, quarta e quinta ginnasio presso il collegio dei Salesiani di Faenza, poi gli studi liceali in parte presso il Liceo Torricelli della stessa città, in parte a Carmagnola in Piemonte presso un altro collegio.
Le crisi nervose si fanno più acute al rientro a Marradi, quando emerge ulteriormente il rapporto conflittuale con la madre e il resto del piccolo paese, che comincia a chiacchierare su una sua presunta follia. Nel 1903 si iscrive alla Facoltà di chimica pura dell'Università di Bologna, passando poi l'anno seguente alla Facoltà di chimica farmaceutica a Firenze, tutti ambiti in cui tuttavia Dino non riesce a riconoscersi.
Il primo passo per dar voce all’unica vera passione che lo anima, la poesia, è l’impulso a partire, per condurre una vita errabonda, cosa che non fa che rinforzare nella famiglia e nell’opinione pubblica di Marradi i sospetti nei confronti della sua pazzia. Tanto che, al ritorno da molti dei viaggi rocamboleschi che lo portavano all’estero per impiegarsi in lavori sempre più disparati, seguiva quasi sempre, su ordine della polizia, un ricovero in manicomio da dove spesso riesce a fuggire, anche se successivamente viene sempre arrestato.
Nel 1907 i suoi genitori, arresi alla nevrosi del figlio, lo spediscono in America Latina, anche dal momento che era impossibile a Dino ottenere da solo un passaporto per una “fuga” oltreoceano: era stato già dichiarato ufficialmente “pazzo”. Dino parte per la paura di dover tornare in manicomio. Nonostante Giovanni e Fanny Campana sostengano che la speranza di guarigione del figlio fosse il motivo della sua partenza, il passaporto risultava valido solo per la partenza, dettaglio che fece pensare a molti studiosi che quello dei genitori di Dino fosse un tentativo di “liberarsi di un problema”.
Dopo altre peregrinazioni, ed altri periodi trascorsi in vari manicomi, rientra a Marradi.
Qui tra il 1912 e il 1913, Campana compone i versi che diventeranno poi – passando faticosamente attraverso varie ristesure – pressoché l’unico gioiello lasciatoci da un grande artigiano, i "Canti Orfici", una raccolta che contiene un poema in due parti (“La notte”), sette poesie intitolate “I notturni”, una prosa diaristica a proposito di un viaggio alla Verna e altre dieci fra poesie e prose liriche. Segue una sezione di “Varie” che comprendono due frammenti, sette prose liriche e (in sette parti) il poemetto “Genova”.
Nel 1913 si reca a Firenze presentandosi nella redazione della rivista "Lacerba" a Giovanni Papini e ad Ardengo Soffici, cui consegna il suo manoscritto dal titolo "Il più lungo giorno", senza però alcun successo, tanto che il manoscritto va addirittura perduto.
Caparbiamente Campana dapprima riscrive tutto affidandosi alla memoria e poi pubblica a proprie spese la raccolta con il titolo definitivo “Canti Orfici" nel 1914.
Si trova traccia di una fitta ma breve corrispondenza tra Dino Campana ed Emilio Cecchi (che insieme a Giovanni Boine e Giuseppe De Robertis fu uno dei pochi estimatori) datata 1916, anno in cui, a Livorno, si scontra con il giornalista Athos Gastone Banti, il quale scrive su di lui un articolo denigratorio sul giornale "Il Telegrafo" e in cui conosce Sibilla Aleramo, l'autrice del romanzo “Una donna”. L’intenso e tumultuoso amore che nasce tra i due scrittori – la cui relazione si chiude nel gennaio 1917 – è narrato in un epistolario pubblicato poi da Feltrinelli con il titolo “Un viaggio chiamato amore”.
Nel 1918 Dino viene internato definitivamente presso l'ospedale psichiatrico di Castel Pulci, presso Scandicci (Firenze), dove muore il 1 marzo 1932, in seguito, sembra, a una forma di setticemia dovuta a una malattia mai ben chiarita.
Diversi saranno i poeti che nel Novecento faranno di Campana un mentore prezioso, un artista del tutto incompreso perché troppo in anticipo sul tempo, quanto a genio, estro e sperimentazione del linguaggio: il fatto che nomi come Mario Luzi, Pier Paolo Pasolini, Andrea Zanzotto, Eugenio Montale, Giuseppe Ungaretti, nomi così lontani nella formazione della poetica, si rifacessero tutti a Campana, lo citassero, è un ottimo metodo per comprendere quanto universale fosse il genio del poeta di Marradi.
A segnare da subito la vita di Campana sono dei disturbi nervosi, inevitabilmente legati dai rapporti coi genitori, che iniziano fin dai suoi 15 anni e che lo accompagneranno fino alla morte.
Nasce a Marradi, provincia di Firenze, al confine tra Toscana ed Emilia Romagna il 20 agosto 1885 e vi trascorre l'infanzia in modo apparentemente sereno.
Frequenta la terza, quarta e quinta ginnasio presso il collegio dei Salesiani di Faenza, poi gli studi liceali in parte presso il Liceo Torricelli della stessa città, in parte a Carmagnola in Piemonte presso un altro collegio.
Le crisi nervose si fanno più acute al rientro a Marradi, quando emerge ulteriormente il rapporto conflittuale con la madre e il resto del piccolo paese, che comincia a chiacchierare su una sua presunta follia. Nel 1903 si iscrive alla Facoltà di chimica pura dell'Università di Bologna, passando poi l'anno seguente alla Facoltà di chimica farmaceutica a Firenze, tutti ambiti in cui tuttavia Dino non riesce a riconoscersi.
Il primo passo per dar voce all’unica vera passione che lo anima, la poesia, è l’impulso a partire, per condurre una vita errabonda, cosa che non fa che rinforzare nella famiglia e nell’opinione pubblica di Marradi i sospetti nei confronti della sua pazzia. Tanto che, al ritorno da molti dei viaggi rocamboleschi che lo portavano all’estero per impiegarsi in lavori sempre più disparati, seguiva quasi sempre, su ordine della polizia, un ricovero in manicomio da dove spesso riesce a fuggire, anche se successivamente viene sempre arrestato.
Nel 1907 i suoi genitori, arresi alla nevrosi del figlio, lo spediscono in America Latina, anche dal momento che era impossibile a Dino ottenere da solo un passaporto per una “fuga” oltreoceano: era stato già dichiarato ufficialmente “pazzo”. Dino parte per la paura di dover tornare in manicomio. Nonostante Giovanni e Fanny Campana sostengano che la speranza di guarigione del figlio fosse il motivo della sua partenza, il passaporto risultava valido solo per la partenza, dettaglio che fece pensare a molti studiosi che quello dei genitori di Dino fosse un tentativo di “liberarsi di un problema”.
Dopo altre peregrinazioni, ed altri periodi trascorsi in vari manicomi, rientra a Marradi.
Qui tra il 1912 e il 1913, Campana compone i versi che diventeranno poi – passando faticosamente attraverso varie ristesure – pressoché l’unico gioiello lasciatoci da un grande artigiano, i "Canti Orfici", una raccolta che contiene un poema in due parti (“La notte”), sette poesie intitolate “I notturni”, una prosa diaristica a proposito di un viaggio alla Verna e altre dieci fra poesie e prose liriche. Segue una sezione di “Varie” che comprendono due frammenti, sette prose liriche e (in sette parti) il poemetto “Genova”.
Nel 1913 si reca a Firenze presentandosi nella redazione della rivista "Lacerba" a Giovanni Papini e ad Ardengo Soffici, cui consegna il suo manoscritto dal titolo "Il più lungo giorno", senza però alcun successo, tanto che il manoscritto va addirittura perduto.
Caparbiamente Campana dapprima riscrive tutto affidandosi alla memoria e poi pubblica a proprie spese la raccolta con il titolo definitivo “Canti Orfici" nel 1914.
Si trova traccia di una fitta ma breve corrispondenza tra Dino Campana ed Emilio Cecchi (che insieme a Giovanni Boine e Giuseppe De Robertis fu uno dei pochi estimatori) datata 1916, anno in cui, a Livorno, si scontra con il giornalista Athos Gastone Banti, il quale scrive su di lui un articolo denigratorio sul giornale "Il Telegrafo" e in cui conosce Sibilla Aleramo, l'autrice del romanzo “Una donna”. L’intenso e tumultuoso amore che nasce tra i due scrittori – la cui relazione si chiude nel gennaio 1917 – è narrato in un epistolario pubblicato poi da Feltrinelli con il titolo “Un viaggio chiamato amore”.
Nel 1918 Dino viene internato definitivamente presso l'ospedale psichiatrico di Castel Pulci, presso Scandicci (Firenze), dove muore il 1 marzo 1932, in seguito, sembra, a una forma di setticemia dovuta a una malattia mai ben chiarita.
Diversi saranno i poeti che nel Novecento faranno di Campana un mentore prezioso, un artista del tutto incompreso perché troppo in anticipo sul tempo, quanto a genio, estro e sperimentazione del linguaggio: il fatto che nomi come Mario Luzi, Pier Paolo Pasolini, Andrea Zanzotto, Eugenio Montale, Giuseppe Ungaretti, nomi così lontani nella formazione della poetica, si rifacessero tutti a Campana, lo citassero, è un ottimo metodo per comprendere quanto universale fosse il genio del poeta di Marradi.
IN UN MOMENTO
Sono sfiorite le rose
I petali caduti
Perché io non potevo dimenticare le rose
Le cercavamo insieme
Abbiamo trovato delle rose
Erano le sue rose erano le mie rose
Questo viaggio chiamavamo amore
Col nostro sangue e colle nostre lagrime facevamo le rose
Che brillavano un momento al sole del mattino
Le abbiamo sfiorite sotto il sole tra i rovi
Le rose che non erano le nostre rose
Le mie rose le sue rose
P.S. E così dimenticammo le rose.
Dino Campana a Sibilla Aleramo
Attenzione! Una precisazione. Il Sig. Stefano Drei mi ha indicato che il ritratto inserito di Dino Campana, potrebbe non esserlo, anzi con ogni probabilità appartiene a tal Filippo Tramonti.
Forse per modestia, ha lasciato a me la scoperta che è docente del ginnasio Torricelli, lo stesso frequentato da Campana, dove attualmente insegna Italiano e che è autore di importanti scoperte sugli anni della formazione di Campana. A questo proposito vi invito a vedere qui.
A questo punto il ringraziamento che gli avevo rivolto è ancora più sentito,
Denota un amore per la figura di questo autore, per la Scuola ci cui fa parte e per la letteratura in generale, il suo gesto.
Quanti altri insegnanti così si nascondono nella scuola?
Leggi i vecchi commenti
Beh, ci sono cadura anch'io, a quanto pare, anche se la mia fonte non è stata quella del Liceo Torricelli.
Grazie Stefano della tua segnalazione: cercherò una nuova foto, arricchendo il post con questo aneddoto.
Carla
NATACARLA |
Ho visto che ha preso la foto dal sito del Liceo Torricelli.
Nessun problema di copyright, ma, come può verificare controllando con più attenzione nel sito stesso, il giovane ritratto in quella foto non è Dino Campana.Cordiali saluti.
Stefano Drei - www.liceotorricelli.it