A
volte mi chiedo come sarebbe stata la mia vita se avessi fatto certe
letture quando ero ancora a scuola, se avessi avuto un insegnante capace
di spiegare davvero la poesia e non farne un tormentone da buttare giù
come una pillola, presto superata l'interrogazione e presto dimenticato.
Nonostante tutto, sarebbe dipeso da me raccoglierla e accoglierla?
Avrebbe cambiato qualcosa della mia vita?
Come è normale, non posso darmi una risposta, solo ipotizzare e rammaricarmi di non avere almeno avuto modo di scegliere e me ne sento derubata.
Diego
è uno di quegli autori del novecento che, al pari di Montale,
Ungaretti, Quasimodo avrebbe potuto essere approfondito, ma il periodo
era già così affollato di autori, che dubito fosse stato sulla mia
antologia della quinta (o sui programmi ministeriali).
In quanto alla poesia, non dà magari lo stesso impatto dell'ermetismo di Ungaretti e Quasimodo, ma credo che anticipi un nuovo modo di scrivere il verso, meno arroccato su se stesso, ma disteso, dolce e malinconico, arreso al cambiamento, ancora fiducioso del divenire.
Fortissimo il richiamo alla poesia di Quasimodo "Ed è subito sera".
Diego Valeri nasce a Piove di
Sacco, provincia di Padova, il 25
gennaio 1887 da Abbondio e Giovanna Fontana.
Terzo figlio della coppia, Diego è schivo, molto legato alla madre, me
non col padre, una persona facile all’ira. Poco dopo la sua nascita, la madre
decide di lasciare il marito e la vita agiata che offriva, per trasferirsi coi
figli a Padova, nonostante le ristrettezze che la aspettano. Valeri riesce pima a diplomarsi al liceo “Tito
Livio” e poi a laurearsi in lettere a
soli ventuno anni nella università
patavina. In quegli anni conosce
Maria Minozzi che sposerà. Nel 1911 suo fratello Ugo, pittore incompreso, muore suicida.
Ricordandolo, Valeri scrive: “La tragica morte di mio fratello Ugo fu talmente
dolorosa per me, che poi, per oltre cinquant’anni, non ho avuto l’animo di
scrivere su di lui e sulla sua arte neppure una pagina. Mio fratello, aveva
quattordici anni più di me, ma fu a me vicinissimo e apertissimo sempre, anche
quando eravamo fisicamente lontani, non somigliò mai a quel bohèmien
scapigliato e burlone che qualche giornalista grosso inventò [...] ad uso e
sollazzo del pubblico grosso. Egli fu, al contrario, uno spirito tormentato e
un cuore sensibile, diciamo pure sentimentale, che, trovandosi a dover lottare
senza quartiere per la sua arte contro la generale incomprensione del pubblico
e della critica, sofferse moltissimo di non essere ‘creduto’” . La
frequentazione con Ugo gli consente di conoscere altri pittori della città e
gli trasmette amore per la pittura, per la bellezza dei paesaggi naturali. L’anno
successivo, vince il concorso per la cattedra di italiano e latino nei licei e
una borsa di studio per un corso di perfezionamento alla Sorbona e all’École
pratique des Hautes Études di Parigi. Fino al 1926 Valeri insegna italiano e
latino nei licei di Monza, Pinerolo, Ravenna, Voghera, Rovigo, Cremona, Vicenza
e Venezia. E’ un socialista convinto e dopo l’avvento del fascismo, per non
essere iscritto al Partito Fascista, viene dapprima escluso da un concorso,
restando ad insegnare come professore incaricato e successivamente viene
allontanato anche dall’insegnamento secondario. Inizia a lavorare alla
Sovrintendenza delle Belle Arti di Venezia e assume un ruolo di primo piano
nell’ambiente antifascista. Quando Mussolini viene arrestato, Valeri assume la
direzione del quotidiano veneziano “Il Gazzettino”, che trasforma in un
giornale libero, indipendente, antifascista. Il 13 agosto 1943, il suo primo
articolo da direttore Valeri scrive: “Tutti abbiamo in cuore almeno un viso di
giovane caduto per il nostro paese, combattendo uno contro dieci, ad armi
impari, senza illusioni e, spesso, senza speranze. Tutti sappiamo di altri
giovani che han sofferto e soffrono tuttavia (ma perché?) il carcere dei
delinquenti comuni per aver servito un’idea politica non conforme all’idea
tipo. Ebbene: quei morti garantiscono per i vivi questi reclusi testimoniano
per la libertà. Gli uni e gli altri ci assicurano che una gioventù italiana
degna di questo nome, esiste pur sempre; ci annunciano che un nuovo fiore sta
per aprirsi al sole nuovo di queste tempestose giornate. E vero frutto verrà
dopo il fiore.” Dopo l’8 settembre 1943 si rifugia in Svizzera in esilio, dapprima
destinato al campo di Mürren, nello Jungfrau, a duemilacinquecento metri
d’altezza. Con lui sono esuli Amintore Fanfani, Dino e Nelo Risi, Giorgio
Strehler. Insieme ad altri professori esuli organizza un’università popolare,
mantiene una fitta corrispondenza con la famiglia e la sua principale
preoccupazione nel periodo di “permanenza forzata” in Svizzera, è quella di
mandare degli aiuti alle sue donne che lo aspettano. Non è facile ricostruire
gli eventi e le circostanze precise di cui si compone la vita di Valeri,
principalmente perché il suo modo di fare è caratterizzato sempre da una forte
riservatezza, egli stesso è solito affermare: “Non è nelle mie abitudini,
parlare tanto di me”. Dopo la guerra ottiene la revisione di uno dei concorsi
universitari da cui era rimasto escluso per non essere iscritto al Partito
Fascista, classificandosi al primo posto e viene subito chiamato dalla Facoltà
di Lettere dell’Università di Padova come Professore Ordinario di Letteratura
francese e Incaricato di Storia della Letteratura italiana moderna e
contemporanea. Incarico che mantiene fino al 1957 anno in cui esce di ruolo per
raggiunti limiti di età, ottenendo la qualifica di Professore Emerito. Nutre un grandissimo affetto per le sue due
figlie Giovanna e Marina (chiamate da lui amorevolmente Nini e Momi). In una
lettera dell’1 febbraio 1948 loro indirizzata, Diego Valeri scrive : “Io sono
sempre dell’opinione che espressi una volta [...]: che se avessi potuto
scegliere prima le mie figliole, avrei scelto proprio voi [...] E’ la pura
verità: vi avrei fatto così come siete, se avessi potuto farvi con
intenzione...”. A oltre ottant’anni accusa
problemi cardiaci e Venezia con i suoi
numerosi ponti, si fa faticosa da vivere, così nel marzo del 1976, Valeri si trasferisce dalla figlia a Roma, dove morirà
qualche mese più tardi, il 27 novembre, nella clinica Villa Claudia. Sulla sua casa a Venezia, in
Calle Cereri, n. 2448 B, vicino ai Carmini, è stata affissa una targa in sua
memoria, su cui si legge la prima lirica della raccolta Calle del vento:
E così te ne vai tu pure estate
E così te ne vai tu pure, estate.
Di giorno in giorno più breve è la luce,
più basso il cielo.
Un'ala lunga di vento
si stende liscia su la faccia del mondo.
E’ il vento umido, molle, delle sere precoci.
Cosa più resta al vecchio cuore
che già si gonfia di pianto?
Restano le tristi dolcezze di autunno
E la luce dell’ultima sera.
(Diego Valeri, Poesie, Ed. Mondadori)
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