domenica 1 luglio 2012

LASCIO QUESTI VERSI COME UN ADDIO - GEZIM HAJDARI

Quando un autore lo si "incontra" due volte, non è possibile più rimandarlo "a poi", ad un altro momento. Si deve smettere di fare quello che avevamo in mente e leggerlo e tentare di forzare il suo pensiero, imparare la sua lingua.
Perchè non si parla, o lo si fa pochissimo di Gezim?
E' forse un poeta scomodo? E' Albanese e si porta dietro tutti i luoghi comuni sulla sua gente. Scrive in modo scorretto, il suo personaggio è troppo eclettico? Non mi sembra. La sua scrittura è semplice, i temi politici e sociali sono trattati con mano ferma e leggera, comprensibile senza nessun filtro di traduttori che spesso sporcano - si è proprio giusto il termine - sporcano la musicalità di un testo pensato nella lingua dell'autore, nel nome della fedeltà del testo. Un atto di integrazione, di onestà, di pulizia interiore; un volersi mettere in gioco, un gioco diverso fatto di suoni differenti, di mostrarsi semplice. Non ha perso la speranza di tornare in patria, dopotutto (attendo che mi chiamino all'alba dalle pietre / volti pallidi di voci arrochite) ma soffre della precarietà della sua situazione (Orizzonte precario / mi appoggio alla tua acqua fredda / e scavo la tua fronte di cielo oscuro). Tutta la poesia è un trionfo della precarietà, della mancanza di punti di riferimento, come espresso, a mio avviso, nel verso finale: "il mio corpo [è] misura tra la sabbia e il cielo". Come si può misurare la sabbia e come il cielo?
QUI una bella intervista a proposito del suo essere migrante.
Non sono riuscita a contattare Gezim: esiste una sua pagina come Personaggio pubblico su Facebook ma sembra appena creata (io sono appena il terzo "mi piace") e non c'è nessun post da poter commentare e domandare. Mi rendo quindi disponibile a togliere questo post, qualora non incontri la sua approvazione.
Ma c'è una domanda che vorrei fargli - veramente è una domanda che mi piacerebbe fare a tutti i poeti che si esprimono fluidamente in più di una lingua - ed è questa:
"Con quale lingua parlano i tuoi sogni?"






Gezim  Hajdari è nato il 25 febbraio 1957 a Hajdaraj, Lushnje, nel centro di Albania da una famiglia di ex proprietari terrieri perseguitata dal regime comunista ed a cui furono confiscati i beni durante la dittatura di Enver Hoxha. A Hajdaraj città dove durante l’autunno e l’inverno si scatenano lampi e tuoni tremendi e tira sempre vento, ha finito le elementari, proseguendo poi gli studi a Lushnje conseguendo la maturità di ragioniere, per poi laurearsi in Lettere Albanesi all’Università “A. Xhuvani”di Elbasan e in Lettere Moderne a "La Sapienza" di Roma.
Nella vita ha fatto di tutto. Nel suo paese ha lavorato come operaio, guardia di campagna, magazziniere, ragioniere, operaio di bonifica, insegnante di letteratura dopo il 1990. In Italia pulitore di stalle, zappatore, manovale, aiuto tipografo. 
Nel 1991 è stato tra i fondatori del Partito Democratici e del Partito Repubblicano della città di Lushnje, ricoprendo la carica di segretario regionale. Fonda un settimanale di opposizione e scrive su quotidiani a carattere nazionale. Nella sua attività di opposizione al regime, non ha mai mancato di denunciare i crimini commessi dal vecchio e dai nuovi regimi, per questo ha dovuto lasciare il paese nel 1992. 
Riparato in Italia, viveva da solo nelle rovine di un edificio abbandonato fino a quando nel 1997 ricevette il prestigioso Premio Montale per la poesia inedita, ed il Consiglio Comunale di Frosinone gli offrì un appartamento e la cittadinanza onoraria per meriti letterari.
Attualmente vive di conferenze e lezioni presso l’università in Italia e all’estero dove si studia la sua opera, ma nel suo paese la sua opera è ignorata. Hajdari, è attualmente uno dei principali poeti non italiani d'Italia, avendo vinto numerosi premi letterari.






LASCIO QUESTI VERSI COME UN ADDIO


Lascio questi versi come un addio
inghiottito dalla nudità della memoria
sapendo che il mondo non ne ha bisogno.
Del mio saluto con la mano che trema
giù nel fondo stellato
nessuno si accorge.
Orizzonte precario
mi appoggio alla tua acqua fredda
e scavo la tua fronte di cielo oscuro
abbandonato nella nebbia fitta
non so da dove vengo e dove vado
assedio nevi che mi assediano
in balia di neri uccelli
voglio sapere chi mi separa da una terra impazzita
e che fine faranno la mia Ombra oltre l'acqua
la pioggia che cade nella pioggia e gli Dèi fra gli alberi
in fila accanto al freddo e al destino
attendo che mi chiamino all'alba dalle pietre
volti pallidi di voci arrochite
il mio nome è una linea che divide
la luce dall'oscurità
il mio corpo misura tra la sabbia e il cielo.

da Stigmate, Besa Editore, 2002


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