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domenica 8 ottobre 2017

TI AVREI SCRITTO MOLTO TEMPO FA - NINA CASSIAN


Questa è la prima di sette poesie che formano il capitolo "Lettere" della raccolta "C'è modo e modo di sparire", dove la Adelphi ha radunato la produzione di Nina dal 1945 al 2007 e che pare siano le uniche tradotte e sopravvissute ad oggi (C'è stata una piccola silloge edita negli anni 60 da un piccolo, lungimirante editore). E in questa antologia a mio parete c'è una traslitterazione di se stessa in versi. Versi che sembrano essere l'unico modo possibile di esprimersi:
"Da questa matita si diparte una strada di grafite / e sulla strada passeggia una lettera, come un cane, / ed ecco una parola come una città abitata / dove forse arriverò domani." (da Poesia)
e ancora, da Dedica, poesia con cui inizia il libro, il distico finale:
"Leggi il mio libro e inebriati / dell’aroma della mia carne."
Poesie che sembrano quasi - un quasi d'obbligo per la soggettività che caratterizza ogni lettore -  esplosioni improvvise e impreviste, come pochi autori sanno creare.






Nina Cassian è lo pseudonimo di Renée Annie Cassian-Mătăsaru. Poetessa, scrittrice e traduttrice romena, nasce a Galați il 27 novembre 1924 in una famiglia ebraica (il padre I. Cassiano-Mătăsaru era un noto traduttore). Tra il 1926 e il 1935 vive e studia presso la scuola annessa alla sinagoga di Brașov, in Transilvania. Città antichissima dove si intrecciano razze, lingue e religioni: romeni, ungheresi, ebrei e tedeschi. Si trasferisce poi a Bucarest dove termina gli studi liceali. Nella capitale inizia a frequentare corsi di recitazione, scuola di pittura e studia pianoforte. Nel 1943 sposa lo scrittore Vladimir Colin da cui divorzia nel 1948, per sposarsi con il critico letterario Al. I. Stefanescu. con cui resterà per 36 anni, fino alla sua morte. Nel 1944 si iscrive alla Facoltà di Lettere e Filosofia, che abbandona dopo solo un anno. Nel 1945 pubblica la sua prima poesia sul giornale România liberă, seguita a due anni di distanza dal volume La scară, opera stilisticamente vicina all'espressività delle avanguardie artistiche e per questo definita decadente dalla critica ufficiale comunista. Negli anni successivi aderirà allo stile imposto dal regime scrivendo versi elogiosi verso il regime comunista e i suoi leader ma ritornerà presto al suo modo di sentire la poesia. Rende traduzioni notevoli di scrittori come Shakespeare, Bertolt Brecht, Christian Morgenstern, Iannis Ritsos e Paul Celan. Inventa un nuovo linguaggio poetico e pubblica oltre 50 libri di poesie, saggi e prose. Nel 1985 è invitata come visiting professor negli Stati Uniti per tenere un corso di "Creative Writting" all'Università di New York. Dopo un mese, il suo caro amico Gheorghe Ursu viene arrestato e ucciso in carcere. Nel diario che teneva vengono trovate le trascrizioni di alcune sue poesie satiriche con il regime di Ceausescu che la rendano una "sovversiva". Decide di non rientrare più in patria e il suo appartamento viene confiscato, i suoi libri vietati e ritirati dalle librerie. Solo dopo la caduta del regime le sue poesie vendono tradotte e diffuse negli Stati Uniti e in Inghilterra. Solo nel 2008 torna in Romania per la presentazione di un suo libro di poesie, e poi nel 2010 per un volume di racconti per bambini. In occasione della Giornata mondiale della poesia del 2014, le viene reso omaggio a Venezia con la pubblicazione di un volume tradotto nella nostra lingua "C'è modo e modo di sparire". Vive a New York fino alla morte, avvenuta il 15 aprile 2014, all'età di 89 anni, a seguito di un attacco cardiaco. Per suo desiderio, le sue ceneri sono in Romania, a Bucarest assieme a quelle dei propri genitori e di Stefanescu, l'amore della sua vita. 


Foresta storta - Polonia



Ti avrei scritto molto tempo fa ma prima ho atteso
di essere fuori dalla solitudine
ovvero fuori da quella contrada dove gli alberi
stanno in posizione orante,
in se stessi inginocchiati,
e i fiumi scorrono in se stessi,
essendo a un tempo corpo e anima,
impossibili da distinguere; ho atteso
che se ne andasse anche il ragno che
con una punta d’argento si era disegnato sulla spalla
e ora eccomi pronta a dirti
che non ti amo.





Ţi-aş fi scris mai demult, dar am aşteptat
întâi să fiu în afara singurătăţii, adică
în afara acelui ţinut în care copacii
stau în poziţie de rugă,
îngenuncheaţi înăuntrul lor,
şi râurile curg de asemeni înăuntrul lor,
fiindu-şi totodată trup şi suflet,
cu neputinţă de deosebit; am aşteptat
să plece şi păianjenul care
se desenase singur cu un vârf de argint pe umărul meu
şi iată-ma acum, gata să-ţi spun
că nu te iubesc.


Traduzione di Anita Natascia Bemacchia e Ottavio Fatica

martedì 2 maggio 2017

L'ANIMALE - MANUEL BANDEIRA


E' dannatamente difficile scrivere una poesia sociale che trascenda il banale, andando oltre un lamento privo di corpo e sostanza. Manuel riesce con pochi versi a rendere il reale che lo circonda, con sguardo lucido e versi puri.
Proprio oggi confessavo - per l'ennesima volta - la mia profonda predilezione per i poeti dell'america latina, per il loro spendersi senza risparmiarsi. Non ci sono reticenze alle loro emozioni, come se siano queste a costringere l'autore a scrivere e non l'autore a interpretarle e in modo più o meno trasparente. Un esempio su tutti è Walt Whitman, anche se non rinnego certo l'autore: esprimo solo una preferenza. Come dire che un uomo ha i capelli biondi piuttosto che castani o neri.
La poetica di Bandeira è espressa bene nella sua "Ultima poesia": 

Così vorrei che fosse la mia ultima poesia
Che fosse tenera nel dire le cose
più semplici e meno
intenzionali
Che fosse ardente come un singhiozzo
senza lacrime
Che avesse la bellezza dei fiori quasi senza profumo
La purezza della
fiamma che consuma i diamanti più
puri
La passione dei suicidi
che si ammazzano senza spiegazione.


La traduzione è sempre a cura della stessa traduttrice.






Manuel Bandeira nasce il 19 aprile 1886, a Recife, nel Nordest brasiliano. A Recife egli trascorre parte dell'infanzia, un'altra parte la passerà a Rio de Janeiro, dove la famiglia si era trasferita e dove completerà gli studi medi e superiori. Nel 1903 parte per San Paolo per seguire il Corso di Architettura alla Scuola Politecnica Paulista, ma si ammala gravemente di tubercolosi, in un'epoca in cui questa era una malattia mortale ed è costretto ad abbandonare l'università. Da quel momento la sua vita cambia radicalmente: a causa della malattia passa dieci anni di tensione e lotta contro la morte, mesi di isolamento e di sofferenza, anni in cui si matura l'uomo e il poeta. La scoperta della sua vocazione poetica viene direttamente collegata a questa malattia contratta ad appena 18 anni. Egli stesso confesserà: "(...) mi sono ammalato e ho dovuto abbandonare gli studi, senza sapere che era per sempre. Senza sapere che i versi, che io avevo fatto da bambino per divertimento, li avrei iniziati a fare per necessità, per fatalità"1. Ma non è solo la sua arte che viene segnata da questa triste esperienza. Tutta la sua vita ne è coinvolta e un segno indelebile di malinconia accompagnerà per sempre il poeta.  La consapevolezza della precarietà della vita gli arriva anche da un contatto intenso e drammatico con la morte; fra il 1916 e il 1922 il poeta perde tutta la famiglia: prima la madre, poi la sorella, il padre, e infine il fratello. Segnato da queste esperienze, non riuscirà a costituire un proprio nucleo familiare, votandosi alla solitudine che lo accompagnerà fino alla morte, sopravvenuta il 14 ottobre 1968 a Rio de Janeiro.





                            L'ANIMALE

Ho visto ieri un animale
Nell'immondizia del cortile
Che cercava cibo fra i detriti.

Quando trovava qualcosa,
Non esaminava né odorava:
Ingoiava con voracità.

L'animale non era un cane,
Non era un gatto,
Non era un topo.

L'animale, Dio mio, era un uomo.

Rio, 25-12-1947.


Traduzione di Vera Lúcia de Oliveira 

O bicho

Vi ontem um bicho
Na imundície do pátio
Catando comida entre os detritos.
Quando achava alguma coisa,
Não examinava nem cheirava:
Engolia com voracidade.
O bicho não era um cão,
Não era um gato,
Não era um rato.
O bicho, meu Deus, era um homem.
                                             Rio, 25-12-1947.

(Belo belo, 1948)

domenica 5 aprile 2015

PARLA SIMONE IL CIRENEO - COUNTEE CULLEN

Un nuovo autore e una poesia diversa da quelle solite per augurare a tutti Buona Pasqua.
In questi tempi di assurda violenza, abbiamo bisogno di ritrovare quella spiritualità che diamo troppo per scontata.




Nasce forse il 30 maggio 1903, forse a New York, Baltimora, o Lexington, Kentucky, non si sa da chi. Com'è possibile non avere certezza su questi dati fondamentali? Il fatto è che Cullen perde genitori e fratello, o forse viene abbandonato da sua madre e lasciato a soli nove anni a una donna chiamata Mrs. Facchino, forse la nonna paterna, che muore nel 1918.
Fino a quell'anno comunque non ci sono informazioni affidabili sulla sua infanzia, fino al momento della sua adozione da parte del Reverendo Frederick Ashbury Cullen, da cui eredita, finalmente, un nome. Cresce a New York, nel quartiere di Harlem, ricevendo una educazione cristiana metodista. Studia al Liceo Dewitt Clinton, dove di distingue in poesia e in oratoria. Nel 1922 si diploma con lode in latino, greco, matematica e francese. L'anno successivo entra all'Università di New York e vince un secondo premio in una disputa di poesie patrocinata dalla Poetry Society of American, con un poema dal titolo La Ballata della Ragazza Marrone. In questo periodo, le sue poesie vengono pubblicate su quotidiani come The Crisis e Opportunity. L'anno successivo si piazza di nuovo al secondo posto, ma vincerà solo nel 1925. In quell'anno viene accettato alla Università di Harvard per conseguire un master in inglese e allo stesso tempo la sua prima raccolta di poesie, "Color", viene pubblicata. Contiene i suoi brani più famosi, "Eredità" e "Incidente". Si laurea nel 1926 e decide di visitare l'Europa, specialmente la Francia. Rientra in America due anni dopo; conosce Yolanda Du Buois, figlia di uno dei più grandi intellettuali statunitensi e si sposa nell'aprile 1928 ma il matrimonio non va bene e i due si separano dopo due anni. La sua amicizia con Harold Jackman, un insegnante celebre per la sua bellezza e per la sua omosessualità, alimenta le voci di una loro relazione e diviene uno dei motivi di divorzio anche se non viene mai provata. Nel 1940 sposa Ida Mae Robertson che conosce da dieci anni. Muore per una infezione renale a New York, il 9 gennaio 1946.
Solo nel 2013 viene inserito nella Hall of Fame degli scrittori di New York.





       PARLA SIMONE IL CIRENEO

Egli non mi disse una parola,
Eppure mi chiamò per nome;
Egli non mi fece neppure un cenno,
Eppure io capii e venni.
Dapprima dissi: «Non voglio portare
La sua croce sulla mia schiena;
Egli vuole caricarmela addosso
Solo perché la mia pelle è nera ».

Ma Egli moriva per un sogno
Ed era molto mite,
E nei suoi occhi splendeva una luce
Che gli uomini fanno molta strada per trovare.

Fu Lui a conquistare la mia pietà;
lo feci solamente per Cristo
Ciò che tutta Roma non avrebbe potuto ottenere
Coprendomi di lividi, a frustate, a sassate.




Simon the Cyrenian Speaks
 
He never spoke a word to me,
And yet He called my name;
He never gave a sign to me,
And yet I knew and came.
At first I said, "I will not bear
His cross upon my back;
He only seeks to place it there
Because my skin is black."

But He was dying for a dream,
And He was very meek,
And in His eyes there shone a gleam
Men journey far to seek.

It was Himself my pity bought;
I did for Christ alone
What all of Rome could not have wrought
With bruise of lash or stone.




martedì 30 dicembre 2014

GRAZIE PER LA PAROLA - ROBERTO CARIFI

Probabilmente vi sarà sfuggito un articolo interessante apparso su "Il Giornale" di domenica scorsa, a firma di Davide Brullo che esordisce con "Il caso di Roberto Carifi è un j'accuse sgranato in faccia ai poeti con l'alloro." e continua dicendo "... ha sempre  avuto una fortuna laterale, diversa, obliqua rispetto ai lirici pluristellati Maurizio Cucchi, Milo De Angelis, Valerio Magrelli, accomodati sul sofà della fama. [...] Pur con un parterre bibliografico importante, un pò tutti se ne fregano di Carifi, lo trattano con indecente pietà. Da dieci anni Carifi è corroso dall'ictus." 
Sapete quanto in passato sono stata scettica e critica con questa testata, anche se fondamentalmente è con l'autore del pezzo che me la sono presa (e non me ne pento minimamente: a certe persone dovrebbero togliere la licenza di scrivere). Questa volta invece ho trovato un equilibrio di esposizione, una corrispondenza di pensiero ed anche la risposta a un mio dubbio sul perché fosse stata sospesa la sua rubrica "Per Competenza" sulla rivista Poesia di Crocetti Editore. Ci sono molti modi di fare il poeta. C'è chi la poesia la fa e chi la scrive e, credetemi, non è la stessa cosa. Si può essere tecnicamente ineccepibili, ma produrre testi vuoti, flaccidi, senza sentimento oppure grammaticalmente incoerenti, pur trasmettendo molto. Sinceramente preferisco questi ultimi.
Con la convinzione di aver letto con Carifi un autore che fa ottima poesia, anche se non ho avuto modo di contattarlo direttamente, mi assumo la responsabilità di postare un suo testo, per dare il mio piccolo contributo alla diffusione della sua produzione poetica. In questo ultimo anno, per esempio è uscita una raccolta di poesie dal titolo Madre, della Casa Editrice Le lettere






Roberto Carifi nasce a Pistoia l’11 settembre 1948 da Licia Brunetti e Benito Carifi, in via dell’Ospizio, all’attuale numero 40, nella casa dello zio Luciano, fratello della madre. Questa è maestra elementare, mentre il padre, figlio di un sarto d’origine partenopee molto apprezzato in città, lascia la famiglia quando il piccolo ha tre anni per trasferirsi a Roma, dove, prima di trovare definitivo lavoro come arredatore cinematografico, si adatterà ad interpretare vari ruoli di comparsa in film di carattere storico.
L’abbandono della famiglia da parte del padre ed il risentimento della madre avranno risvolti sul carattere del giovane Roberto che proverà sempre un grande attaccamento alla figura materna, mentre nutrirà un contrastante sentimento di amore-odio per la figura del padre. Il tema dell’abbandono sarà tra quelli ricorrenti del futuro poeta. In questo senso vale anche per la figura paterna quello che varrà molti anni dopo per la scomparsa dell’amata madre: “anche se vecchio l’orfano / ha un pianto di bambino”.
Dai sei agli otto anni è con la madre a Cireglio, dove questa si è dovuta trasferire per l’insegnamento. Gli ultimi due anni delle scuole elementari Roberto la frequenta a Pistoia, alle ‘Stinche’. La madre ha infatti preso casa in affitto in Corso Gramsci, all’angolo di via dell’Ospizio, dove resterà sino ai primi anni Ottanta, allorché si trasferirà col figlio in via Fiorentina, al numero 6, sulla discesa del Ponte dell’Arca, direzione Firenze.
Sul finire delle scuole medie Roberto è colpito da una grave forma di labirintite, con febbre altissima; è a rischio di vita, tanto che viene chiamato un sacerdote per l’estrema unzione. Il padre, avvertito, fa una breve apparizione al capezzale del figlio, la prima delle uniche due dopo il suo abbandono della famiglia. Al ragazzo resterà della figura del padre l’immagine di una persona fredda. Nel 1962 Roberto frequenta in Corso Gramsci la prima classe del Ginnasio. A quel periodo risalgono le sue prime, ed ancore acerbe, composizioni poetiche. Alla fine della seconda classe del Ginnasio, pur avendo dimostrato particolare predisposizione per le materie letterarie, dovrà ripetere l’anno scolastico, così come la prima liceale, a causa della sua indisciplina, che si riflette anche sul profitto e dovuta all’insofferenza verso ogni autorità, comprensibile transfert psicologico del sentimento verso il padre assente.
Al Liceo Classico avrà come insegnante di Italiano, il professor Vasco Gaiffi, che riuscirà a fargli amare la letteratura.Nel 1972 si laurea con 110 e lode con la tesi Essere e apparenza in Jean-Jacques Rousseau, discussa col professor Paolo Rossi, restando poi in facoltà coadiuvando il professor Rossi nelle lezioni.
Nel 1982 conosce il poeta Piero Bigongiari, uno dei maggiori esponenti dell’ermetismo fiorentino, che influenzerà in parte la sua poetica. Si lega inoltre d’amicizia con i poeti Giuseppe Conte, Roberto Mussapi, Cesare Viviani, Tommaso Kemeny e Rosita Cipioli.
Il 10 settembre 2004, nel pieno della creatività e della progettualità, è colto da ictus. Il primo anno della malattia, costretto ad affrontare la cruda realtà della sua nuova condizione, colpito nel fisico e nello spirito, sballottato per mesi da un ospedale all’altro e sottoposto a continue terapie riabilitative della parola e della motorietà, non tenterà nemmeno di dettare i versi che pure gli urgono. Abbraccia incondizionalmente il pensiero buddista, al quale già si era avvicinato dopo la dolorosa scomparsa della madre. Vede rispecchiata la sua nuova condizione esistenziale nella filosofia dell’Illuminato per la quale vivere è soffrire: questo dolore non nasce solo dal nostro attaccamento alla vita ma anche dall’ostinazione a sopravvivere alla morte ed è solo uccidendo in noi questa ostinazione che possiamo pervenire alla pace interiore, al nirvana, cioè alla liberazione dal dolore. Ai temi dell’abbandono e dell’obbedienza, si affianca dunque, nella recente stagione della sua vita, quello apparentemente più duro eppure straordinariamente consolatorio dell’accettazione. È questa la fase in cui il personaggio aderisce più tragicamente alla sua opera, la fase in cui la parola, già da tempo fortemente provata nell’esprimere l’indicibile della perdita dell’affetto materno, è chiamata ora a tagliare la propria carne con impietose domande, a cercare la ragione di una fisicità non combaciante con l’interiore vitalità di cui quel corpo è crisalide.
Innumerevoli le pubblicazioni. Risiede a Pistoia.




GRAZIE PER LA PAROLA


Grazie per la parola
che ancora accendi nel mio cuore,
per quel raggio che dal bene
hai ricevuto in dono
e che nel mio abbandono
lasci che nasca
come fosse grano in un deserto,
per quella tua bellezza,
per l'orma divina del tuo sguardo,
per quella tua dolcezza che vorrei baciare
come se bacia l'innocenza,
inginocchiato davanti alla tua anima
quando una lieve ombra
la lascia affiorare sulla carne,
per quello che chiami il tuo peccato,
per il tremore che turba la tua voce
quando mi dici l'indicibile
e lasci l'impronta dell'amore
in questo cuore arato.


(in  D'improvviso e altre poesie scelte, Edizioni Via del Vento, Pistoia, 2006 e in Amore d’autunno, Guanda Editore, 1998)

venerdì 26 dicembre 2014

NATALE - SALVATORE QUASIMODO

Ancora un Natale per scrivervi i miei auguri di sempre con una delle migliori poesie sul natale che abbia letto finora.
Auguri ai miei autori. A chi mi scrive, invia e segnala le proprie poesie e pubblicazioni, con il garbo che è proprio del poeta.
Auguri a chi non ha ancora pubblicato, chi lo farà a breve, a chi ha in corso una rispampa.
Auguri a chi non scrive poesie, ma riesce a produrre comunque emozioni, perchè ha poesia dentro di sé.
Auguri a chi traduce e ci permette di capire versi stranieri.
Auguri a chi crede la propria come verità unica.
Auguri a chi non sa ancora quanto sia grande e potente la parola.
Auguri.






 NATALE


Natale. Guardo il presepe scolpito,
dove sono i pastori appena giunti
alla povera stalla di Betlemme.
Anche i Re Magi nelle lunghe vesti
salutano il potente Re del mondo.
Pace nella finzione e nel silenzio
delle figure di legno: ecco i vecchi
del villaggio e la stella che risplende,
e l'asinello di colore azzurro.
Pace nel cuore di Cristo in eterno;
ma non v'è pace nel cuore dell'uomo.
Anche con Cristo e sono venti secoli
il fratello si scaglia sul fratello.
Ma c'è chi ascolta il pianto del bambino
che morirà poi in croce fra due ladri?




sabato 15 settembre 2012

IO NON SONO UNA STORIA... - AHMAD SHAMLOU


"Gli alberi parlano con il bosco, l’erba con la terra, /
le stelle con le galassie. E io parlo con te."

E l'io come piccola parte di qualcosa di più grande.
A me piace questo modo di scrivere: diretto quasi un colloquio a due. L'incipit, straordinario ha la forza di uno schiaffo e la dolcezza di una carezza. C'è raccoglimento, confidenza, un senso di amicizia che travalica il tempo e la  lingua con cui si parla e si ascolta, quello che si è.
E sembra essere questo il pensiero di Ahmad con il verso che ho isolato, perchè non sono solo "io" a parlare con "te": "io" sono "tutti" e tutti parlano con "te": un nuovo "tutti".
Una speranza, un incitamento al dialogo tra popoli e popoli, tra la storia passata, il presente che si crea giorno dopo giorno e un futuro che deve essere pianificato dal presente per poter essere vivo e non un calendario da subire. 







Ahmad Shamlu nasce a Tehran il 12 dicembre del 1925 da Haydar Shamlou e da Kowkab Araqi, unico maschio di sei figli. Suo padre è un ufficiale dell'esercito originario di Kabul (Afganistan), trasferito a Theran con la famiglia, sua madre proviene da una famiglia di immigrati. Come molti bambini figli di militari, ha ricevuto le prime nozioni scolastiche in varie città: Krash e Zahedan nel sud-est dell'Iran, Mashhad nel Nord-est, Rasht nel nord. Gli studi successivi non sono stati certo facili; con una formazione di scuola superiore ancora incompleta, quando cerca di accedere alla Theran Technical School, una delle migliori di quel periodo, che gli consentirebbe anche di apprendere la lingua tedesca, ottiene l'ammissione, ma a condizione di retrocedere negli studi di due anni: è il 1941. L'anno successivo col resto della famiglia deve trasferirsi di nuovo. Nel 1943 viene arrestato a Teheran e imprigionato a Rasht, ma poi rilasciato. Poco dopo viene arrestato di nuovo assieme al padre dal governo separatista dell'Azarbaijan; vengono tenuti per ore di fronte ad un plotone di esecuzione, in attesa dell'ordine per il loro rilascio. Nel 1945 tenta di nuovo di completare il suo ciclo di studi e prendere il diploma di scuola superiore, ma fallisce. Si sposa per la prima volta nel 1947 e da questo matrimonio avrà quattro figli. Nel 1954, quando il primo ministro iraniano Mohammad Mosaddegh, eletto democraticamente, viene deposto da un colpo di stato, Shamlu è costretto a vivere nascosto per sei mesi, dopo di che fu nuovamente arrestato e costretto  in prigione per oltre un anno.
Il divorzio dalla prima moglie nel 1957 avvenne dopo una lunga separazione ed anni di conflitto. Anche il suo secondo matrimonio si concluse con un divorzio, nel 1963, dopo soli quattro anni. Nella primavera del 1962 incontrò Aida Sarkisian, di famiglia armano-iraniana che viveva nel suo stesso quartiere; e si sposarono dopo due anni, nonostante l'opposizione della famiglia di Aida a cui non piaceva Ahmad, più vecchio e già divorziato due volte. Ma nonostante tutto, rimasero assieme fino alla sua morte.
Le condizioni fisiche di Ahmad peggiorarono a partire dal 1996. Subirà diverse operazioni, compresa l'amputazione del piede destro per gravi problemi diabetici, gli stessi che saranno la causa della sua morte, avvenuta il 23 luglio del 2000, alle 9 di sera.
Tra tutte le sue opere, oltre settanta, molte  tradotte in diverse lingue, le sue traduzione dal Francese al Persiano e la cura delle opere dei poeti classici persiani, vale la pena di citare i tredici volumi del Katab-e Koucheh (The Book of Alley) per il cospicuo contributo alla comprensione delle credenze, del linguaggio ed il folclore iraniani.  






IO NON SONO UNA STORIA CHE PUOI RACCONTARE


Io non sono una storia che puoi raccontare,
non sono una canzone che puoi cantare,
non sono un suono che puoi udire,
non sono neppure questo che puoi vedere
né quello che puoi conoscere.
Io sono una sofferenza che anche tu puoi provare,
chiamami con un grido.
Gli alberi parlano con il bosco, l’erba con la terra,
le stelle con le galassie. E io parlo con te.
Dimmi il tuo nome, dammi le tue mani,
dimmi le tue parole, dammi il tuo cuore.
Io ho scoperto le tue radici.
Attraverso le tue labbra ho parlato al Tutto,
le tue mani sono sorelle delle mie.
In una luminosa solitudine ho gridato con te
per quelli che sono vivi.
In un oscuro cimitero ho cantato con te
la più bella canzone perché quelli morti quest’anno
erano le persone che amavano di più i vivi.
Dammi le tue mani. Le tue mani mi sono familiari.
Oh tu, che ho scoperto molto tardi.
Io parlo con te come le nuvole parlano con la tempesta,
come l’erba parla con la terra,
come la pioggia parla al mare,
come gli uccelli parlano alla primavera,
come gli alberi parlano al bosco.
Perché ho scoperto le tue radici,
perché la mia voce è sorella della tua.



sabato 21 gennaio 2012

SENZA TITOLO - SAVERIO CRISTIANI

domenica, 04 gennaio 2009

E' bello leggere poesie di autori famosi, ma è ancora più stimolante leggere quelle di chi famoso non è e scoprire che ti lasciano emozioni ancora più forti di quelle dei grandi autori.
L' amicizia con Saverio è iniziata con un mio commento ad una sua poesia, pubblicata in un sito dove sono iscritta. Poi, in momenti di malfunzionamento, ci siamo scambiati mail con poesie e racconti nostri, per arrivare poi a parlarci, attraverso quelli, della nostra vita. Le prime date di queste mail sono così recenti che mi chiedo per quale motivo sia diventato uno dei miei interlocutori più importanti, degli amici più cari, in così poco tempo.
Ma io una risposta ce l'ho.
Ed è con il suo permesso che inserisco questa poesia a cui non ha dato titolo, confidando di poterne inserire altre, per poter dare un più ampio “assaggio” di questo autore.






SENZA TITOLO

Da dove nasce un’onda
che come speranza trema
all’insaputa del Dio di tutti

E non c’è nulla
ch’io possa fare
nulla più
che guardare questo mare



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IDENTITA' - MIA COUTO

giovedì, 08 gennaio 2009

Antonio Emilio Leite Couto, meglio noto come Mia Couto è considerato uno dei maggiori scrittori contemporanei in lingua portoghese. Nato a Beira in Mozambico, famosa per le frequenti inondazioni (da qui lo scrittore afferma di non avere una "terra madre", ma un'"acqua madre". Intraprende la carriera di giornalista e scrittore, mentre si laurea in biologia, dedicandosi ai problemi della difesa dell'ambiente.




Il debutto letterario di Couto avviene con la pubblicazione di alcune poesie nell'antologia Sobre literatura moçambicana ("Sulla letteratura mozambicana") realizzato nel 1980 da un altro grande poeta del Mozambico, Orlando Mendes Nel 1983 Couto pubblica la prima raccolta personale intitolata Raiz de orvalho ("Radice di rugiada"). Successivamente la sua produzione letteraria si volge ai contos (racconti).
Nella prefazione all'ultimo libro pubblicato in Italia, Terra sonnambula, Luis Sepùlveda scrive che è "un romanzo pensato e scritto come un lungo poema epico da un poeta capace di fare della storia del suo paese una grande metafora: la metafora della speranza e della magia come antagonista di una realtà sinistra".








IDENTITA'


DEVO ESSERE UN ALTRO
PER ESSERE ME STESSO
SONO BRICIOLA DI ROCCIA
SONO IL VENTO CHE LA CONSUMA
SONO POLLINE SENZA INSETTO
SONO SABBIA CHE SOSTIENE
IL SESSO DEGLI ALBERI
ESISTO DOVE MI DISCONOSCONO
ASPETTANDO IL MIO PASSATO
ANELANDO ALLA SPERANZA DEL FUTURO
NEL MONDO CHE COMBATTO
MUOIO
NEL MONDO PER CUI LOTTO
NASCO



domenica 20 novembre 2011

PRESENTAZIONE LIBRO: TERRA ESTREMA di Mauro Germani

martedì, 29 marzo 2011
PRESENTAZIONE LIBRO: TERRA ESTREMA di Mauro Germani





Ci sono pensieri scomodi e inopportuni da tenere a portata di memoria, per la vita di tutti i giorni ,che pudicamente releghiamo nella nostra parte più buia, dove vivono le nostre idee più selvagge.
Mauro con questo suo ultimo libro TERRA ESTREMA, ancora una volta edito da L'arcolaio, (come il suo precedente Livorno), si è messo alla ricerca di questi suoi pensieri; questi figli disconosciuti, ma comunque amati se per ritrovarli, come scrivono Marco Ercolani nella prefazione al libro "si inoltra nell'abisso del dolore..." e Fabio Botto, nella postfazione, "nonostante l'infinita dispersione che ci impone il mondo attuale".
Tutto questo è, a mio avviso, espresso nella prima poesia che qui propongo.
Il "perdere la carne" ed il successivo "dileguano le parole", sono sublimazioni dell'estraniamento necessario all'autore per strappare i ricordi alla nebbia, per procedere dove "non c'è terra / per i miei passi"

Anche l'ultima poesia della sezione L'ignoto sangue è una ricerca. Una ricerca di un addio espresso con un linguaggio freddo e sciolto, duro e dirompente, come tutti gli addii ed il lettore viene scosso proprio da questo contrasto tra il linguaggio dai silenzi incontenibili, e il tema trattato.
Sempre da Ercolani, trovo conferme sulla mia idea a proposito dell'uso del verso breve, ampiamente usato da Mauro: "I versi brevi stringono lettore ed autore nell'esiguo spazio di un respiro rauco, interrotto, fra dolore e dolore".
Io, più semplicemente, trovo che sia usato molto nella poesia introspettiva; quanto più si arriva a sfiorare il nostro indicibile, quanto più si contrae la frase poetica.
Altre due sezioni completano il libro. Oltre a quella già citata, ci sono Voci e Terra estrema, entrambe composte da prose poetiche di cui Mauro è un notevole esponente. Ve ne riporto una breve, tratta dalla sezione che titola il libro, simile nei contenuti alla seconda poesia proposta.

Se il libro Livorno è stato un buon libro, cosa di cui sono fermamente convinta al di là dei riscontri che ha ottenuto, questo nuovo libro lo è ancora di più.
Odio sentir dire di una poesia che "è bella", due parole che vogliono dire tutto e niente.
Tuttavia per quelle del libro non si può che esprimere qualcosa di molto simile: sono appaganti. Ognuna lascia con un intimo sorriso, consapevole di una corrispondenza di pensiero, talvolta un moto interiore che ad ogni fine lettura produce un "Si".






Questo niente che scende
dal cielo, nella luce
incerta dei visi
e questi ricordi
strappati alla nebbia

questo continuo
perdere la carne
come non fosse mia
mentre dileguano
le parole

e non c'è orizzonte
non c'è terra
per i miei passi.









Spegnere un nome
eppure vederlo
amarlo
senza ritegno.

Finire adesso
il mai
cominciato.

E sapere le notti
che non sanno
e invocare il cielo
prima
del cielo.

Aspettare
il silenzio.

Scrivere.

Scrivere sempre
il già
cancellato.








C'era stato un giuramento lì, un attimo assoluto.
C'era stato un amore incurabile, la luce tremante dei volti, la strada  lontana. Un abbraccio senza mondo, vicino alla carie dei muri, dove era più facile perdere, non avere giorni, non avere nomi.



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SU UNA SCALA DI MONTMARTRE - UMBERTO CROCETTI

lunedì, 12 luglio 2010
 
Ho un amico che mi rimproverava sempre di scrivere poesie senza "cornice".
Sinceramente all'inizio non capivo come dovevo fare per inserire nelle mie poesie - sempre introspettive - degli scenari precisi, con riferimenti di luoghi e di tempi.
Per me erano un pò cose d'altri tempi, da
"La donzelletta vien dalla campagna
in sul calar del sole,
col suo fascio dell'erba; e reca in mano
un mazzolin di rose e viole

...."
E pensavo che se fosse possibile scrivere ancora oggi così,  io  ne ero incapace, visti - ed assolutamente gettati - i versi che mi rimanevano sulla carta quando mi costringevo a "descrivere".
Poi ho incontrato degli autori che riuscivano benissimo ad armonizzare luoghi di dentro e di fuori.
Per primo me ne ha parlato Pessoa, poi Montale e via via molti altri.
Bene, anche Umberto è tra questi e con i soli due versi di incipit ci ha tratteggiato una figura di donna di cui intuiamo lo stato d'animo malinconico o di scoramento, ed i due successivi versi ce ne danno la ragione, mentre per contrapposizione, nella seconda strofa, parla di sè, della sua inquietudine tra voler fermare il tempo ad osservare, e conservarne il momento, ed  assecondarne le paure.
Il tutto in soli otto versi.
Incredibile!






SU UNA SCALA A MONTMARTRE


Eri seduta sull'ultimo gradino
della scala a Montmartre, abbracciata alle ginocchia,
con i resti del tuo amore tra le labbra,
nuda al mio occhio, estranea ad altri passi.

Volevo solo guardarti,
appoggiata al verde smunto della ringhiera
la mia mente si ostinava ad inseguire
gli ipotetici mostri dei tuoi sogni.




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sabato 19 novembre 2011

LA PAGINA FINALE - RODOLFO VETTORELLO

domenica, 30 maggio 2010
LA PAGINA FINALE - RODOLFO VETTORELLO
 
Rodolfo si fa stimare da chi - poeta - lo incontra ed ascolta le sue poesie. "E se ne conserva un ricordo di persona gradevolissima" mi dicono.
Autore fecondo, apprezzatissimo ovunque pubblichi, le sue poesie sono pervase da quella malinconia propria degli scritti della maturità con predominanza dei temi del tempo e dei ricordi, dell'amore e della morte.
E - tema nel tema - è sempre presente la vita, raccontata con sobrietà, metrica inappuntabile, sentimenti e afflato.
Se in altri autori troviamo nelle chiuse il loro punto di forza, Rodolfo invece fa degli incipit qualcosa che cattura l'attenzione, anzi la rapisce, proprio come quando ci parlano guardandoci negli occhi. Non si può non ascoltare in questo caso, come non si può rimandare la lettura di una sua poesia, una volta iniziata.
Quindi non vi sorprenderà sapere che per presentarvelo, la scelta della poesia da proporre è stata facile; difficile mantenerne il proposito, dal momento che nel preparare il post ne ho rilette - e ricordate -  innumerevoli altre altrettanto intense, e la tentazione di cambiare è stata forte.
Ma gli chiederò il permesso per una seconda poesia, poi una terza,  poi.....


http://www.pianetacaccia.it/foto%20animali/anatre/cacciatoredianitre.jpghttp://launeddasworld.com/launeddas/img/canne_acqua.jpg



LA PAGINA FINALE
Se mai dovessi
scegliermi un luogo e un tempo per morire,
vorrei che fosse dove e come adesso,
con questa luna bianca appesa in cielo
e una laguna come di metallo.
Che fosse proprio in questo tempo d’ora
e in questo istante che non ho paura.
Vorrei sembrasse come andare lungo
le mulattiere a lato degli stagni
e per sentieri persi tra le canne.
Che fosse come un viaggio solitario
in una notte chiara come questa
che non è tardi ma non è più sera.
Vorrei seguire i passi solitari
dei cacciatori all’alba che si acquattano
per insidiare le anatre di passo.
Straziante questa attesa che finisca
la pagina di un libro che si chiude.
Io leggo sempre adagio; non so farlo
che sillabando, come gli scolari
e quando arrivo al fondo del manuale
rallento perché duri un altro poco
il tempo della pagina finale.




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mercoledì 16 novembre 2011

LETTERA ALLA FIGLIA - GINO DE SANCTIS

sabato, 23 maggio 2009

Ho ripreso la lettura di vecchie antologie scolastiche, anche per capire che genere di poesie e racconti ci facessero leggere (ammesso si leggessero, queste antologie, ma non sono troppo sicura di questo).
Questa che segue mi ha colpito particolarmente: breve e parla di amore filiale visto dagli occhi di un uomo.
Pubblicata sul primo volume di  "Dialogo Aperto", Paravia Editore e tratta dall' Antologia poetica della Resistenza Italiana Ed. Landi, Firenze







LETTERA  ALLA  FIGLIA



Se mai nella notte ti svegli
schianto di fucilate
alla mamma non dire
- cos'è? - ma stai zitta, fai finta
di continuare a dormire.
Anch'essa non sa, non distingue
al suono di quei colpi lontani:
è voce del nemico
o voce dei partigiani?
All'alba, il sole risorto
brilla negli sbarrati
occhi di un morto.






martedì 15 novembre 2011

OLTRE IL TRAMONTO - MASSIMO MILANI

lunedì, 02 marzo 2009


Devo dire che Max è stato il mio primo Maestro di poesie d'amore, ma non so se lui ne possa andar fiero....
Come ho fatto con altri amici, gli ho scritto dicendo che avrei avuto piacere di postare una sua poesia, ottenendone subito il consenso e l'assoluta libertà di decisione. Così ecco su cosa è caduta la mia scelta: una poesia davanti alla quale resto senza parole, per la nitidezza delle immagini, l'incanto dell'atmosfera e la delicatezza del sentimento che Max ci porge.
Dimenticavo: Max ha anche un suo Blog, che si chiama PASSI E PENSIERI; per chi volesse passarci, allego il link

Adesso ascoltate la sua voce...

Tramonto in montagna



OLTRE IL TRAMONTO


Immobile come in preghiera
seduto qui davanti a questa finestra
negli occhi un tramonto mai così bello
nel cuore la gioia di viverlo
abbracciato dalle note di un adagio
ascoltato ancora e ancora
affinché si prolunghi l’incanto.
Il tempo ha il suo passo
oggi inesorabile e dolce
e quando calano le ombre
solo la musica resta
come una carezza
tanto ambita
a toccare l’anima.
Sono qui ed aspetto
di sentire i tuoi passi
la Tua voce il profumo
le Tue piccole mani
che così bene conosco
sono qui e paziente aspetto
ombre trasformarsi in sogno.


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ANDREA - GIANNI GRILLO

giovedì, 26 febbraio 2009
 


Ah....finalmente!
E' arrivato il momento per postare un'altra poesia di Gianni, una di quelle che amo particolarmente.
Gianni! Mannaggia......riesci sempre a trasportarmi da una parte all'altra, come il capitano di una nave.....
tu mi capisci!
Bene, attenti che ve la trascrivo, così come me l'ha inviata Gianni.



Mano vicino alla Bocca
Foto tratta dal sito:
http://digilander.libero.it/ecografia/primo_trimestre_ar/5_dita_mano_dett_13.JPG



ANDREA


Come posso non amarti
vedendoti arrancare
con in mano la cesta della spesa
sempre attento a risparmiare
il centesimo di un niente.

Ti guardo e ti voglio bene
così come mi appari
nudo, nel tuo perizoma
che insisti ad indossare
come fosse un abito da sera.

Scorgo in te il disappunto
del dì che mi hai intravista
la prima volta, sullo schermo
del progresso che uccide l’illusione
di chi arde per un figlio maschio.

Eppure, sono passati gli anni
e se, tuo malgrado, io ti amo
nei tuoi occhi c’è ancora riflessa
la luce del sogno tradito
da un figlio che veste di rosa.

Ora che fatalmente ti allontani
dalla scena, e ti accingi a scalare
l’ultima montagna della vita
metti nel fagotto lo sgomento
di chi per te ha sofferto tanto.

E anche quando verrà il giorno
che mi guarderai dall’alto
mi vedrai china
sull’eterno giaciglio
con in mano una rosa.


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TOCCARE - OCTAVIO PAZ

martedì, 24 febbraio 2009
 
 
 
http://www.leabooks.com/LEA-Spanish%20Pages/Literatura/Paginas%20de%20Autor/Paz,%20Octavio/octavio_paz.jpg


Eccolo qua, il nostro autore di oggi!  E stavolta sono stata aiutata: Saverio mi ha segnalato autore e poesia. GRAZIE.
Dunque, vediamo......
Pubblicò i suoi primi poemi nel diario El Nacional e nella rivista Barandal quando aveva 17 anni.
Nel 1937 partecipa al II Congresso internazionale degli scrittori antifascisti di Valencia (Spagna). Rientrato in Messico, nel 1938 fonda e dirige Taller, la rivista che segnala la comparsa di una nuova generazione di scrittori messicani. Nel 1943 si trasferisce negli Stati Uniti e si immerge nella poesia modernista anglo-americana. Entra a far parte nel 1945 del corpo diplomatico messicano ed è inviato a Parigi, dove collabora attivamente con il movimento surrealista.
Nel 1962 viene nominato ambasciatore in India, tappa importante della sua vita e della sua poesia.
Nel 1968, si dimette dal proprio incarico per protestare contro la repressione sanguinosa di una manifestazione studentesca a Città del Messico. Fonda poi due importanti riviste di cultura e politica: Plural (1971-1976) e Vuelta (a partire dal 1976).
Numerosi i premi, i riconoscimenti ed i dottorati Honoris Causa: il Premio Miguel di Cervantes (1982), il Premio Alexis di Tocqueville (1989), il Premio Nobel di Letteratura (1990), il Premio Principe di Asturias e la Gran Croce della Legione d'Onore di Francia (1994).
È morto di un cancro a 84 anni, il 19 aprile 1998 a Città del Messico, dove era nato il 31 marzo 1914.

Una delle sua frasi celebri che mi ha colpito:
La memoria non è ciò che ricordiamo, ma ciò che ci ricorda. La memoria è un presente che non finisce mai di passare. “

Un concetto che ritroviamo ben sviluppato in Yehuda Amichai,  nel suo Ricorda, poesia che non si può non amare.


http://www.volontariato.lazio.it/fotoarchivio/medium/toccare_arte.jpg


TOCCARE


Le mie mani
aprono la cortina del tuo essere
ti vestono con altra nudità
scoprono i corpi del tuo corpo
le mie mani
inventano un altro corpo al tuo corpo.




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CERTO CHE FA MALE - KARIN BOYE

sabato, 17 gennaio 2009
CERTO CHE FA MALE – KARIN BOYE

Massì-che-lo-so che la primavera è lontana.
E' che la nostalgia della primavera non lo sa.....
E poi c'è Karen che ce ne parla.
Ma siamo proprio sicuri che parli solo della primavera?
Con i suoi scritti abbiamo modo di vedere le cose in maniera così inconsueta........... è come se indossassimo un nuovo paio di occhi. Sono sempre piccole cose, quelle da cui parte, ma quanto in profondità ci trascina!
Stavolta, io credi che il fulcro della sua poesia sia questo:

essere incerti, timorosi e divisi,
difficile sentire il profondo che trae, che chiama
e lì restare ancora e tremare soltanto
difficile voler stare
e volere cadere.

 

Quante volte ci siamo sentiti impotenti, con questa indecisione su quello che c'è da fare, come agire e  quando farlo prima di scuoterci e adottare le nostre personali strategie?
E se non l'avessimo fatto, beh, poveri noi!
In questo caso avremo subito la vita, non l'avremo vissuta: peccato!






CERTO CHE FA MALE


Certo che fa male, quando i boccioli si rompono.
Perché dovrebbe altrimenti esitare la primavera?
Perché tutta la nostra bruciante nostalgia
dovrebbe rimanere avvinta nel gelido pallore amaro?
Involucro fu il bocciolo, tutto l’inverno.
Cosa di nuovo ora consuma e spinge?
Certo che fa male, quando i boccioli si rompono,
male a ciò che cresce
                                     male a ciò che racchiude.

Certo che è difficile quando le gocce cadono.
Tremano d’inquietudine pesanti, stanno sospese
si aggrappano al piccolo ramo si gonfiano, scivolano
il peso le trascina e provano ad aggrapparsi.
Difficile essere incerti, timorosi e divisi,
difficile sentire il profondo che trae, che chiama
e lì restare ancora e tremare soltanto
difficile voler stare
                               e volere cadere.

Allora, quando più niente aiuta
si rompono esultando i boccioli dell’albero,
allora, quando il timore non più trattiene,
cadono scintillando le gocce dal piccolo ramo,
dimenticano la vecchia paura del nuovo
dimenticano l’apprensione del viaggio -
conoscono in un attimo la più grande serenità
riposano in quella fiducia
                                          che crea il mondo. 



Ja visst Gör det ont

 Ja visst Gör det ont när knoppar Brister.
 Varför skulle Annars tveka våren?
 Varför skulle tutto vår Heta Längtan 
 Bindas i det frusna bitterbleka?
 Höljet var ju Knoppen hela vintern.
 Vad är det för nytt, som Tar och Spranger?
 Ja visst Gör det ont när knoppar Brister,
 ont per Det som växer
                               och det som stanger.

 Ja nog är det svårt när Droppar Faller.
 Skälvande av ängslan tungt de Hanger,
 klamrar sig vid kvisten, sväller, aliante -
 tyngden Drar dem Nerat, Hur de klänger.
 Svart att vara oviss, Radd och delad,
 svårt att Kanna djupet dra och Kalla,
 ANDA Sitta kVAr och bara Darra -
 svårt att Vilja stanna
                               och Vilja falla.

 DA, när det är värst och inget hjälper,
 Brister som i jubel trädets knoppar.
 DA, när Ingen rädsla Langre Haller,
 Faller i ett scintillio kvistens Droppar
 glommer att de skrämdes av det nya
 glommer att de ängslades för Farden -
 Kanner en sekund peccato största trygghet,
 Vilar i den Tillit
                               som skapar Världen.

För trädets skull, 1935

DOMANI... - SAVERIO CRISTIANI

domenica, 11 gennaio 2009


Ancora un testo di  Saverio, che ha, carinamente, raccolto la mia richiesta di farmi pubblicare un'altra sua poesia.
E magari ne approfitto per chiedergli di mandarmene un'altra, che ne dite?





DOMANI...



Domani mi alzerò
E berrò alla fonte
Come daino in un bosco
Come bosco sul monte
Come monte alla terra
E tu sarai pioggia
Per la terra ed il monte
E del daino l’unica fonte



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CIO' CHE HO SCRITTO DI NOI - NAZIM HIKMET

sabato, 10 gennaio 2009

Ho scovato un'altra bellissima sua poesia.
Carezze a cose semplici sono i suoi versi, anche questi dedicati ad una donna.


http://federico870.altervista.org/_altervista_ht/treni2s.jpg



CIO'  CHE HO SCRITTO DI NOI


Ciò che ho scritto di noi è tutta una bugia
è la mia nostalgia
cresciuta sul ramo inaccessibile
è la mia sete
tirata su dal pozzo dei miei sogni
è il disegno
tracciato su un raggio di sole

ciò che ho scritto di noi è tutta verità
è la tua grazia
cesta colma di frutti rovesciata sull'erba
è la tua assenza
quando divento l'ultima luce all'ultimo angolo della via
è la mia gelosia
quando corro di notte fra i treni con gli occhi bendati
è la mia felicità
fiume soleggiato che irrompe sulle dighe

ciò che ho scritto di noi è tutta una bugia
ciò che ho scritto di noi è tutta verità.



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NUDA E' LA TERRA, E L'ANIMA - ANTONIO MACHADO

sabato, 03 gennaio 2009
 
 
Eccomi ancora  con una nuova poesia.
Nuova....proprio nuova non direi: lo è per me, comunque, voi magari la conoscete benissimo.
Se devo proprio dirlo fuori dai denti, Machado l'ho sentito nominare da qualche telenovelas (scusate, ma, si, mi è capitato di vederne qualcuna. Che ci posso fare?) . Probabilmente sono molto più fieri loro dei propri poeti che non noi: è una verità che sfido chiunque a smentire.
Quindi ricapitoliamo un pò per chi, come me, è un pò niubbo di questo autore.


http://www.spanien-abc.com/uploads/pics/M_machado3.jpg


Riassumo da Wikipedia:
Nacque il 26 luglio 1875 a Siviglia, nel palazzo di "Las Dueñas" situato nella via omonima. Giovanissimo (solo otto ani) si trasferisce con la sua famiglia a Madrid dove studiò nella Institucion Libre de Enseñanza. Nel 1893 la morte del padre, che lascia la famiglia in precarie condizioni economiche.
Ma questo non impedì al giovane Antonio di trascorrere la sua giovinezza in ambienti teatrali (recitò anche) e letterari, nei caffè frequentati da  Miguel de Unamuno, Ramon Maria del Valle-Inclan, Azorin,  Francisco Villaespesa ed altri esponenti di rilievo della cultura spagnola .
Compì anche due viaggi a Parigi, nel 1899 e nel 1902.  Durante questi soggiorni nella capitale francese conobbe Oscar Wilde, Jean Moréased il  maestro del modernismo, il poeta nicaraguense Robén Dario. 
Il suo primo libro di poesie, Soledades, è del 1903 e nel 1907 ottenne un posto di professore di francese (!)  nelle scuole secondarie di Soria. Qui, due anni dopo, sposò la quindicenne Leonor Izquierdo; il poeta allora aveva 34 anni. Il matrimonio non durò a lungo: nel 1912, anno di uscita della sua raccolta di poesie più famosa, Leonor muore di tisi,  dopo una lunga malattia.
Prostrato dalla scomparsa della moglie, Machado tornò in Andalusia e vi rimase fino al 1919 conducendo una vita solitaria, divisa tra passeggiate e letture.
Nel  1927 divenne membro della Real Academia Espanola de la Lengua  e l'anno successivo conobbe la poetessa Pilar Valderrama, suo grande amore dopo l'indimenticata Leonor. A seguito della guerra civile, si trasferì con la famiglia dapprima a Valencia, poi a Barcellona. Alla fine del 1939 Machado, ma madre, ed il fratello con la moglie, lasciano la città diretti verso la frontiera francese, che attraversano tra il 28 ed il 29 febbraio. Nell'esodo, condotto per un lungo tratto a piedi, lo scrittore fu ostretto ad abbandonare una valigia contenente versi, appunti e lettere. Alloggiarono in un piccolo albergo appena dopo la frontiera a Collioure.
Qui Machado stanco, malato, deluso ed amareggiato, passa lunghe ore all'aperto a guardare il mare grigio e compone i suoi ultimi vers, dedicati all'asolata Siviglia della sua infanzia. Il 22 febbraio morì ed in una tasca del suo cappotto il fratello Josè trovò un pezzo di carta con l'ultimo verso :
"Quei giorni azzurri e quel sole dell'infanzia" .
Tre giorni dopo morì anche la madre che venne sepolta accanto al poeta.

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Nuda è la terra, e l'anima


Nuda è la terra, e l'anima
ulula contro il pallido orizzonte
come lupa famelica. Che cerchi,
poeta, nel tramonto?

Amaro camminare, perchè pesa
il cammino sul cuore. Il vento freddo,

e la notte che giunge, e l'amarezza
della distanza...Sul cammino bianco,
alberi che nereggiano stecchiti;

sopra i monti lontani sangue ed oro...
Morto è il sole...Che cerchi,
poeta, nel tramonto? 


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