giovedì 24 gennaio 2013

da RAZGLEDNICHE - MIKLOS RADNOTI

Anticipo di qualche giorno questo post per la ricorrenza della Giornata della Memoria. 

In rete, di questo poeta si trovano trascritte poesie in modo molto frammentato, come se inserirle in modo sistematico fosse una intromissione, una invasione in un territorio simile all'inferno. E spesso sono spiegate, come se volessimo distaccarcene, accendere una luce in quell'inferno in cui si è capitati.
Scrivere poesie mentre si cammina, in fila, verso una grande fossa dove altri sono già stati gettati – ma gettati non è la parola giusta, più calzante è forse “fatti cadere” dal rimbalzo di una pallottola - è un esempio, indubbiamente raro, di come si può vivere in certi periodi storici, stretti nella morsa degli avvenimenti, senza poter combattere, ma solo subire. Oppure è sintomo di grandezza, decidete voi. Io vi socchiudo la porta di quell'inferno.






Miklós Radnóti nacque a Budapest il 5 maggio 1909 da una famiglia ebraica. Alla sua nascita perse la madre ed il fratello gemello. Pochi anni dopo perse anche il padre e rimase sotto la tutela di un Glatter e con questo nome fu iscritto alle scuole di Budapest. Nonostante le ristrettezze economiche, riuscì a concludere gli studi ed a laurearsi in Lettere e Filosofia all'università di Szeged. La sua poesia fu considerata troppo offensiva e ribelle per la censura fascista, ma è stata rivalutata dai posteri che hanno ritrovato fortunosamente il taccuino su cui ha scritto fino a pochi minuti prima di morire.

Sul suo diario scriveva:
“Sono un poeta ungherese... quando sto guardando i miei volumi di poeti ungheresi. La mia nazione non urla giù dallo scaffale, avanti, marsch sporco ebreo. Si aprono davanti a me i paesaggi della mia patria, il cespuglio non mi lacera più di quanto non farebbe a un altro, l'albero non si mette in punta di piedi, per impedirmi di cogliere i suoi frutti. Se così fosse, mi ucciderei, perché non so vivere diversamente da come vivo, né credere ad altro o pensare in modo diverso.
È questo che provo ancora oggi, nel 1942, anche dopo tre mesi di lavori forzati
e due settimane di campo di punizione... E se mi uccidono? Neanche questo servirà a cambiare nulla."

Nei primi anni quaranta, Miklos fu arruolato dall'esercito ungherese, ma essendo ebreo  fu assegnato a ad un munkaszolgálat, un  battaglione di lavoro, inizialmente impegnato sul fronte ucraino. Nel maggio 1944  l'esercito ungherese si ritirò da quel fronte e il suo battaglione viene trasferito alle miniere di rame di Bor, in Serbia. Nell'agosto del 1944, quando i partigiani jugoslavi guidati da Tito avanzarono, il gruppo di 3200 ebrei ungheresi si mise in marcia forzata verso il centro dell'Ungheria. La maggior parte di loro, tra cui Radnoti, morirono.
Secondi i testimoni, i primi di Novembre del 1944  era stato picchiato da un miliziano ubriaco che lo tormentava per “scarabocchiare” spesso. Troppo debole per continuare, gli sparono alla nuca il 9 dello stesso mese  e sepolto in una  fossa comune vicino al villaggio di Abda, nel nord-ovest dell'Ungheria.
Diciotto mesi dopo la sua morte è stato riesumato e dalla tasca del cappotto, è stato ritrovato il piccolo taccuino con le sue ultime poesie.
Adesso è sepolto nel Kerepesi Cemetery di Budapest, ma resta una statua vicino a dove fu ritrovato.




DA RAZGLEDNICHE


4

Gli crollai accanto, il corpo era voltato,

già rigido, come una corda che si spezza.

Una pallottola nella nuca, – Anche tu finirai così, -

mi sussurravo – resta pure disteso tranquillo.

Ora dalla pazienza fiorisce la morte –

“Der springt noch auf”, suonò sopra di me.

E fango misto a sangue si raggrumava nel mio orecchio.

Da: Mi capirebbero le scimmie, Donzelli Editore, 2009.
Traduzione di Edith Bruck 








Mellézuhantam, átfordult a teste
s feszes volt már, mint húr, ha pattan.
Tarkólövés. - Így végzed hát te is, -
súgtam magamnak, - csak feküdj nyugodtan.
Halált virágzik most a türelem. -
Der springt noch auf, - hangzott fölöttem.
Sárral kevert vér száradt fülemen.

Szentkirályszabadja, 1944. október 31.


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