lunedì 26 gennaio 2015

NOI EBREI - GERTRUD KOLMAR

Della Kolmar sono sono andate disperse molte poesie, soprattutto le ultime ma nonostante questo ne sono rimaste  450, delle quali pochissime tradotte in italiano. Un primo volume risale al 1990, Il canto del gallo nero, edito da Essedue Edizioni, un secondo molto più piccolo è del 2008, Metamorfosi e altre liriche edito dalla solita Via del Vento Edizioni.
In  Germania è raro trovarla nelle enciclopedie e il suo nome è quasi sconosciuto all'estero.
La sua storia ricorda molto quella di Antonia Pozzi, entrambe avevano una relazione osteggiata dai genitori, entrambe scelgono il suicidio come via di fuga, ma Gertrud trova poi il coraggio di vivere la scelta consapevole di restare, non la fuga come altri. Mi viene il dubbio che sia stato un modo per espiare una colpa che si sentiva addosso.
Le verrà reso onore postumo con l'apposizione  di una lapide a ricordo il 24 febbraio 1993 nella  Haus Ahornallee 37  a Charlottenburg, un sobborgo di Berlino e nella stessa città, una strada porta il suo nome  (ma quanti autori non hanno avuto nessuno a sopravvivergli, a raccogliere  i loro versi?).
Le poesie scritte tra il 1933 e il 1943 sono solenni  "La città è per me un vino colorato / in un levigato calice di pietra / che sta e brilla davanti alla mia bocca / e specchia la mia immagine nella sua cavità. / (La straniera) accusatoria "Vieni dunque e uccidi! / Per te posso essere solo un disgustoso animale: / io sono il rospo / e porto il gioiello. (Il rospo), dura e senza incertezze "Si affaticano come dementi, grigi, devastati, / separati dall’umanità variopinta, / irrigiditi, timbrati e marcati, / come bestiame da macello che aspetta il beccaio / e non conosce che il fetido truogolo e il recinto." (Nei lager).  Per molti versi ricorda la Acmatova davanti al carcere di Leningrado nel rispondere "Posso" alla domanda " Ma questo lei può descriverlo?" 
Diverse per intensità e calore sono invece le poesie dedicate all'amante, ma di quelle vi dirò in un prossimo post.






Gertrud Kolmar è lo pseudonimo scelto dalla scrittrice per sostituire il cognome di origine polacca e di difficile pronuncia: Chodziesner, che deriva da Chodziesen in Posnania, città da cui proviene la famiglia paterna. Di origini ebraiche, nasce a Berlino il 10 dicembre del 1984. Il padre Ludwig è avvocato penalista, la madre Elise una pianista. Ha tre fratelli, Margot Georg e Hilde. Frequenta la scuola secondaria a Berlino ed un corso di economia domestica ad Arvedshof, nei pressi di Lipsia e si dedica allo studio delle lingue, ottenendo un diploma per l’insegnamento del Francese, Inglese e Russo.  Intorno al 1916 ha una relazione con Karl Jodel, un ufficiale tedesco e sposato; resta incinta, ma la sua famiglia per la "convenienza" e la "buona reputazione" le fa pressione per abortire e chiudere il rapporto con Karl. Questa maternità negata produce in Gertrud un trauma da cui non si riprenderà mai, tentando il suicidio. Il padre per farle superare il dolore ottiene da un editore la pubblicazione di una sua raccolta di poesie, che esce nel 1917. Per lei si prodigheranno anche il cugino Walter Benjamin, filosofo e scrittore che intuisce subito il valore delle sue poesie, e Nelly Sachs conosciuta nelle serate di lettura della Lega della cultura ebraica.
Dal 1919 al 1927 lavora come istitutrice in Francia. Ritorna a Berlino nel 1928 per curare la madre ammalatasi di cancro e vi resta anche dopo la sua morte, quasi relegata nel giardino della sua casa assieme al padre anzano e malato.
Con le vicende storiche occorse in Germania, la famiglia è fortemente indebitata. Nonostante la nomina di Hitler a Cancelliere nel 1933, il crescente antisemitismo e l'applicazione delle leggi razziali, il padre resta convinto - come tantissimi altri ebrei in quello stesso periodo - che non possa succedere nulla alla sua famiglia in quanto tedesca e pienamente integrata.  Ma nel 1939 sono costretti a vendere la loro casa per trasferirsi presso la "casa degli ebrei".  Gertrud si dedica allo studio dell'ebraico:  
"Ieri, 14 maggio, dopo la quinta lezione, ho “combinato” la mia prima poesia in ebraico. Prima o poi te la farò sentire, forse è ancora imperfetta, però ne sono orgogliosa come lo sarà Sabine quando avrà scritto la sua prima “vera”parola." Lettera scritta alla sorella Hilda e datata 15 maggio 1940. 
Nel 1942 il padre viene deportato a Theresienstadt dove muore un anno dopo, mentre lei lavora come forzata nelle fabbriche di Berlino, scampando più volte alla deportazione perché giudicata una forza lavoro indispensabile, fino al 27 febbraio 1943  quando, durante la cosiddetta “Azione nelle fabbriche” viene arrestata assieme agli altri lavoratori forzati ebrei di
Berlino e condotta in un campo di smistamento. Il 2 marzo del 1943, sale sul treno del "Trentaduesimo trasporto dall'Est" verso Auschwitz, dove muore.









NOI EBREI


Solo la notte è in ascolto: ti amo, ti amo popolo mio,
voglio abbracciarti forte,
come una donna fa col suo compagno alla gogna, nella fossa,
la madre non lascia il suo figlio ingiuriato precipitare da solo.

E se un bavaglio ti soffoca in gola il grido straziato,
e - crudeli - ti legano le braccia tremanti,
lasciami essere la voce che cade nell’abisso dell’eternità,
la mano che si tende a toccare Dio in cielo.

Dalle rocce delle montagne il Greco trascinò giù i suoi pallidi dei,
e Roma lanciò sulla terra uno scudo di ferro,
un turbinio vorticoso dal cuore dell’Asia, orde di mongoli si sollevarono,
gli imperatori da Aquisgrana seguivano il sud con lo sguardo.

E la Germania e la Francia portano un libro e una spada fiammeggiante,
sulle navi l’Inghilterra percorre un sentiero d’argento e d’azzurro,
e la Russia è un’ombra che incombe, una fiamma arde sul suo focolare,
e noi, noi siamo nati dal patibolo e dalla forca!

Questo cuore che scoppia, trasudare di morte, senza lacrime gli occhi,
e al palo della tortura il gemito eterno che il vento, ululando, consuma,
e la mano scarna - le vene come vipere verdi - la povera mano
che lotta contro la morte fra roghi e capestri.

L’inferno ha bruciato la barba canuta, gli artigli del diavolo l’han fatta a brandelli,
l’orecchio mutilato, le ciglia strappate; gli occhi, velati, si offuscano:
Oh, voi ‘ Quando giunge l’ora fatale, qui ed ora, io voglio alzarmi,
voglio essere il vostro arco trionfale attraverso il quale passano le pene e i tormenti!

Non bacerò la mano che agita il turgido scettro dei pieni poteri,
non bacerò il ginocchio di bronzo, ne il piede d’argilla del dio d’un tempo crudele;
Oh, potessi - io, fiaccola ardente - levare la voce
nell’oscuro deserto del mondo: giustizia! giustizia! giustizia!

Caviglie. Ho trascinato catene, risuona il mio passo di prigioniero.
Labbra. Serrate, sigillate da cera incandescente.
Cuore. Una rondine in gabbia che supplica di volare.
E sento la mano che trascina su un mucchio di cenere il mio viso piangente.

Solo la notte è in ascolto: ti amo popolo mio, vestito di stracci:
come il figlio di Gea, terra dei pagani, si trascina spossato verso la madre,
tu ora buttati in basso, sii debole, abbraccia il dolore,
un giorno il tuo piede di viandante, stanco, calpesterà il capo dei potenti!

15.9.1933

Traduzione Germana Carlino

Tratta dall'opuscolo GERTRUD KOLMAR. LA STRANIERA 1894 - 1943 che trovate qui


Wir Juden

Nur Nacht hört zu. Ich liebe dich, ich liebe dich, mein Volk,
Und will dich ganz mit Armen umschlingen heiß und fest,
So wie ein Weib den Gatten, der am Pranger steht, am Kolk
Die Mutter den geschmähten Sohn nicht einsam sinken lässt.

Und wenn ein Knebel dir im Mund den blutenden Schrei verhält,
Wenn deine zitternden Arme nun grausam eingeschnürt,
So lass mich Ruf, der in den Schacht der Ewigkeiten fällt,
Die Hand mich sein, die aufgereckt an Gottes hohen Himmel rührt.

Denn der Grieche schlug aus Berggestein seine weißen Götter hervor,
Und Rom warf über die Erde einen ehernen Schild,
Mongolische Horden wirbelten aus Asiens Tiefen empor,
Und die Kaiser in Aachen schauten ein südwärts gaukelndes Bild.

Und Deutschland trägt und Frankreich trägt ein Buch und ein blitzendes Schwert,
Und England wandelt auf Meeresschiffen bläulich silbernen Pfad,
Und Russland ward riesiger Schatten mit der Flamme auf seinem Herd.
Und wir, wir sind geworden durch den Galgen und das Rad!

Dies Herzzerspringen, der Todesschweiß, ein tränenloser Blick
Und der ewige Seufzer am Marterpfahl, den heulenden Wind verschlang.
Und die dürre Kralle, die elende Faust, die aus Scheiterhaufen und Strick,
Ihre Adern grün wie Vipernbrut dem Würger entgegenrang.

Der greise Bart, in Höllen versengt, von Teufelsgriff zerfetzt,
Verstümmelt Ohr, zerrissene Brau und dunkelnder Augen Fliehn:
Ihr! Wenn die bittere Stunde reift, so will ich aufstehn hier und jetzt,
So will ich wie ihr Triumphtor sein, durch das die Qualen ziehn!

Ich will den Arm nicht küssen, den ein strotzendes Zepter schwellt,
Nicht das erzene Knie, den tönernen Fuß des Abgotts harter Zeit;
O könnt ich wie lodernde Fackel in die finstere Wüste der Welt
Meine Stimme heben: Gerechtigkeit! Gerechtigkeit! Gerechtigkeit!

Knöchel. Ihr schleppt doch Ketten, und gefangen klirrt mein Gehn.
Lippen. Ihr seid versiegelt, in glühendes Wachs gesperrt.
Seele. In Käfiggittern einer Schwalbe flatterndes Flehn.
Und ich fühle die Faust, die das weinende Haupt auf den Aschenhügeln mir zerrt.

Nur Nacht hört zu. Ich liebe dich, mein Volk im Plunderkleid:
Wie der heidnischen Erde, Gäas Sohn entkräftet zur Mutter glitt,
So wirf dich zu dem Niederen hin, sei schwach, umarme das Leid,
Bis einst dein müder Wanderschuh auf den Nacken des Starken tritt!

(Das Lyrische Werk S.101)



2 commenti:

  1. La traduzione della poesia "Noi Ebrei" (Wir Juden) della Kolmar qui pubblicata è di Germana Carlino, che ha collaborato con la Professoressa Antonella Gargano alla realizzazione e cura della Mostra "La Straniera" dedicata a Gertrud Kolmar (Goethe Institut Roma e Biblioteca Comunale di Villa Mercede Roma). E' possibile verificare nel catalogo/opuscolo della mostra. Vi pregherei di citare il nome della traduttrice - il mio. Le traduzioni dei testi della Kolmar hanno per me un valore sia affettivo che di preziose pubblicazioni nel curriculum. Grazie mille. Germana Carlino (Germana2309@yahoo.it)

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    1. Salve. Ho esaminato anche quel documento che ha citato, ma non ho trovato il nome del traduttore. Se volesse darmi delle indicazioni più precise, sarei lietissima di attribuirle la traduzione. A me non piace lasciarla in sospeso, è come se il post non fosse completo.

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