domenica 20 novembre 2011

IL SACCO - SAVERIO CRISTIANI

domenica, 25 luglio 2010
 
A questo punto, un  piccolo stacco dalla poesia ci vuole.
Questo post, preparato da tempo, è perfetto dopo la poesia di Turoldo appena inserita che  lo introduce in un certo senso, nel contenuto.




IL SACCO

C’è qualcosa che si muove là dentro.
Lo vedo distintamente, pur nello sferragliare del vagone lercio di questa metropolitana, mi pare evidente che quel sacco di plastica nera si sta muovendo.
Sono impercettibili vibrazioni, rigonfiamenti appena accennati, ma sicuramente deve esserci qualcosa al suo interno.
Sarà un animale? Non si direbbe, non emette alcun verso.
E poi come mai si trova posato sul sedile, senza nessuno attorno.? Chi l’avrà abbandonato? Chissà da quanto tempo è lì, e non c’è nemmeno un’anima che lo reclami o si avvicini almeno a curiosare.
Anzi, più prosegue il viaggio meno gente resta sul vagone.
Il neon lampeggia con fredda intermittenza, sarà guasto, e nel chiaroscuro osservo il sacco con la coda dell’occhio.
Ha una forma differente adesso. Sembra un gatto. Un grosso gatto nero. Riconosco bene la coda, attorcigliata come punto interrogativo e le orecchie a punta, poi la forma si scompone, e torna sacco seduto.
Ma che diavolo ci sarà dentro?
Mi osservo intorno cercando conforto in qualche altro passeggero, ma in fondo al vagone è rimasto solo un prete, che sta per scendere. Ecco, il vagone si è fermato, e lui infila rapido l’uscita.
Nessuno sale.
Sono rimasto solo.
Con quel maledetto sacco della spazzatura.
Come partiamo ricomincia a muoversi.
Stavolta più freneticamente, sembra ci sia dentro un pugile che tira all’impazzata. Vedo la plastica nera tendersi e formare delle pieghe poi ritrarsi ed un nuovo bozzo formarsi poco più in là. Nessun rumore, solo la forma che cambia e si trasforma. Adesso si è fermato: ha assunto la forma di una poltrona.
Una poltrona nera di quelle imbottite, grosse e rassicuranti. Se non fosse che so per certo trattarsi di un sacco dell’immondizia mi ci siederei. Ma non faccio in tempo a pensarci che la poltrona si scioglie, ed il sacco torna a sformarsi.
Questo viaggio sembra non finire mai. Non ricordo nemmeno dove sono salito e, ancor peggio, dove devo scendere; ma non mi importa.
C’è solo il sacco a occupare la mia attenzione; adesso mi ci sono seduto di fronte, tirandomi appresso la borsa con la spesa.
Lui continua a muoversi più nervosamente, ed avverto chiaro lo sfrigolio della plastica. Ora si espande, è diventato molto più grande, occupa due sedili. E continua a sfarfugliare con movimento continuo; sembra quasi una cosa amorfa che cerca la sua perfezione, ma come dannato di un girone infernale si agita senza pace e senza poterla trovare.
Adesso è enorme, ha iniziato a strabordare dai sedili espandendosi e ritraendosi come respiro.
Nella sua disperazione riconosco forme che non ricordavo, una pianta, un volto che ride, una barca….. tutto mi appare come un immenso caleidoscopio di oggetti che si accavallano e che riconosco senza sapermi spiegare perché mi si formino le loro immagini davanti.
Ad un tratto la voce dall’altoparlante annuncia il capolinea. E mentre il treno sta per fermarsi il sacco assume una sagoma definita: una porta.
Ne riconosco gli stipiti, i contorni, ed il grande pannello nero che è la porta vera e propria. Sembra adesso una forma definitiva, la plastica non trema più; e pare che quella barriera rigida da valicare sia sempre stata lì ad aspettarmi
E’ ferma davanti a me, invitante con quel suo nero lucido che mi attrae …… e proprio nel momento in cui il vagone si ferma con l’ultimo lancinante stridio di freni, senza esitazione afferro la maniglia e spingo con forza….
Mi sveglio di soprassalto; siamo giunti a fine corsa e sono rimasto solo nel vagone. La luce è spenta, e un vago chiarore che proviene dalla stazione sotterranea è l’unica cosa che mi consente di vedere dove mi trovo.
Accanto a me un sacco nero.
Quel sacco nero.
Immobile, con la forma di sacco come l’ho sempre conosciuta.
Quasi intimorito lo tocco con la punta di un dito.
Nulla.
Poi, nella quasi oscurità che mi circonda, lo prendo tra le mani cercando di capire cosa ci sia dentro. Ma il sacco non ha peso né consistenza.
Lo spremo dapprima delicatamente, poi man mano schiacciandolo con rabbia crescente come fosse un palloncino per farne uscire l’aria finchè non mi resta tra le mani un groviglio di plastica nera appallottolata.
Scoprirlo vuoto mi tranquillizza, ed il senso di ansia che si era impadronito di me nel sogno sta gradualmente scomparendo.
Uscendo dal vagone lo getto in un cestino dei rifiuti già quasi colmo e mi avvio sulle scale mobili con la spesa che mi sbatte tra le ginocchia.
E’ tardi, e dall’ultimo bar al livello superiore il barista, un giovane di colore, con il corpetto bordò ed il papillon nero della divisa, mi rivolge un’occhiata stanca mentre abbassa la saracinesca e con un bisbiglio appena udibile mi sussurra
- ben arrivato
Lo osservo senza rallentare il passo e pur non comprendendo il perchè delle sue parole mi affretto verso l’ultima rampa di scale e finalmente esco all’aperto.
Appena fuori mi accendo una sigaretta, e guardo il fumo disperdersi nell’aria. Tutto intorno è deserto e c’è un odore particolare per strada, un sentore di vecchio e di stantio, quasi opprimente.
Strano, non ci sono stelle in cielo, mi sembra di ricordare che quando sono entrato nella metro, un’ora prima o forse erano due ?… era sereno e c’era la luna piena. Ora invece il cielo è completamente buio, nero come la pece, e come la pece a tratti luccicante …… sembra quasi….. non è possibile……
l’interno di un sacco….!!




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#1  25 Luglio 2010 - 22:44
che dire Carla.....trovare il mio misero sacco stretto tra Saramago e David Maria Turoldo mi intimorisce e mi inorgoglisce allo stesso tempo. Però ho troppa stima delle tue scelte per volerle contestare (e poi me ne guardo bene).
utente anonimo

#2  25 Luglio 2010 - 22:46
naturalmente l'anonimo è il sottoscritto .
Saverio

utente anonimo 


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