domenica 1 luglio 2012

da MOTO ONDOSO STABILE E ALTRI RACCONTI - ANNE TYLER

Per chi scrive e lo fa con passione ottenendo anche con un certo consenso di critica, non può non incontrare i racconti ed i romanzi di Anne Tyler.
Io li ho trovati nel solito opuscolo della serie "I libri della Domenica" de  Il sole 24 ore, "Moto ondoso stabile e altri racconti", miracolosamente ancora nella mia edicola, nonostante sia passato tempo dalla sua uscita. Racconti sulla banalità quotidiana dei silenzi che corrono tra mogli e mariti, figli e genitori. Silenzi imbarazzanti a cui Anne riesce a dare voce, strappando ai personaggi i loro pensieri più veri. Strano dirlo di un racconto, vero? Eppure leggendo non si hanno dubbi sulla realtà di Susan, di Mark oppure di Bet e Arnold o Lucy e Arnold e Joel. Risuonano in qualche modo dentro di noi e dobbiamo confrontarci: con loro e con quel modo di scrivere un pò distaccato, quasi da alieno con cui sono sorprendentemente modellati. Dobbiamo, insomma rispondere alla domanda: "Che effetto farà essere soli come i morti?"
Chi ha curato queste uscite, ha fatto un lavoro davvero magnifico per scelte di autori e testi.
Inserisco qualche stralcio per stuzzicare la vostra curiosità e rimandandovi al libro da cui è tratto il racconto e di cui ho inserito la copertina più sotto.
Solo una ultima annotazione personale.
Letteratura e poesia non possono essere molto distanti tra loro, in un medesimo periodo vogliamo dire storico? E' buffo parlare di storia, dal momento che la stiamo vivendo e qualcuno la sta facendo, ma cerchiamo di avere una visione elastica. Così come in epoche passate, i movimenti culturali sono passati da tutte le varie forme artistiche: letteratura, poesia, pittura, musica, così anche oggi non possiamo prescindere da leggere un testo e non pensare a dove porta ed a noi, se nel nostro piccolo scrivere percorriamo lo stesso cammino, magari arrancando e con la paura di non arivare mai, o se al contrario ci siamo fermati a mezza strada, in uno spiazzo confortevole, con una vista che ci rassicura. Niente di sbagliato in nessuna delle due ipotesi: basta esserne consapevoli e capire perchè ci siamo fermati proprio in quel punto.
Ma tornando a Anne ed alla sua scrittura, alla solitudine che esprime, con quell'autoanalisi dei suoi personaggi che, nonostante abbiano acquisito una loro consapevolezza, non riescono a trovare un rimedio, non hanno "lì per lì" niente da dire. Incomunicabilità, incomprensioni, conforto nel pensiero che "succederà qualcosa", che non può continuare così per sempre, ma allo stesso tempo, immobilismo. Sono i temi del momento in cui stiamo vivendo e la strada da seguire è forse quella di essere i primi e feroci critici di noi stessi, nelle forme che riusciremo ad esprimere.







Anne Tyler è nata il 25 ottobre 1941 a Minneapolis, Minnesota ed è la maggiore di quattro figli.  Suo padre era un chimico e la madre un'assistente sociale. Ha trascorso la sua infanzia in differenti comunità di quaccheri nelle montagne del Nord Carolina. Frequentò la scuola solo a 11 anni, ricevendo una istruzione diversa da quella tradizionale e questo le ha permesso di osservare  "il mondo normale con una certa quantità di distanza e di sorpresa ".
Si è comunque laureata a 19 anni presso la Duke University, perfezionando i propri studi di lingua e Letteratura Russa alla Columbia University di New York. Ha lavorato quindi come bibliotecaria e bibliografa prima di trasferirsi nel Maryland. Nel 1963 ha sposato lo scrittore iraniano Taghi Mohammad Modarressi, scomparso nel 1997, con cui ha avuto due figlie, Tezh e Mitra. Anne Tyler vive ora a Baltimora, città in cui sono ambientati la maggior parte dei suoi racconti. Non concede interviste personali anche se è disponibile ad interviste per e-mails e non partecipa ad attività promozionali dei propri libri.
Ha ricevuto il Premio Pulitzer nel 1989, essendo già stata  finalista nel 1986 e nel 1983.






"Come stai? Kayf halik? Kayf halik?" Anche se sta parlando tra sé, in realtà guarda me, tanto che ho l'impressione che voglia davvero sapere come sto. Questo è proprio uno dei suoi lati positivi: si rivolge a tutti in modo molto personale. Il suo sguardo immobile è puntato non sui miei occhi, ma sulla mia bocca, come se si aspettasse una risposta. Mi sento timida e impacciata. Non conosco una sola parola di arabo, non saprei nemmeno dire "bene" .
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Io dal canto mio non sono mai stata molto brava a esprimere i miei sentimenti. Quando uscivamo insieme Mark cercava di tenere viva la conversazione e lasciava delle pause nella speranza che dicessi qualcosa, ma in genere restava deluso. Aveva sempre attenzioni per me a cui non ero abituata. "Come mai hai gli occhi di un azzurro così pallido? Devono essere i pensieri" diceva " Evidentemente i tuoi pensieri sono più chiari e freschi degli altri." Cosa potevo rispondere? Mi limitavo a tormentarmi le mani finchè lui le prendeva tra le sue per calmarle. 
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Mio padre è venuto ad aprire ed è rimasto a guardarci in silenzio con un sorrisetto sulle labbra. Ogni volta che lo vedo mi sembra molto invecchiato. Negli anni trascorsi dalla morte di mia madre si è raggrinzito e incurvato come un libro che si accartoccia se lo metti a seccare dopo averlo lasciato fuori in una notte di pioggia. Sulle guance gli spuntavano quà e là ispidi peli bianchi. Aveva la camicia abbottonata con spille di sicurezza, i pantaloni sformati sulle ginocchia, e le bretelle penzoloni.  Vedendo la sua pelle rosea e pulita sotto i capelli bianchi mi è venuto da piangere. Però ho detto soltanto: "Ciao, papà" e gli ho sfiorato la guancia con la mia. "Ti trovo bene" ho aggiunto.
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Ero contenta di avere mio padre tutto per me, anche se in verità non avevamo niente da dirci. Abbiamo parlato di oggetti. Macchine soprattutto. Come sempre. Il trattore funzionava bene? Lo scaldabagno avrebbe resistito per un altro anno? E poi, lui a me: la mia macchina per scrivere era a posto o s'inceppava? La Toyota di Mark faceva abbastanza chilometri con un serbatoio di carburante?
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Niente lo sorprendeva; sapeva che il resto del mondo faceva le cose in modo diverso da lui. Gliel'aveva fatto notare mia madre; spesso, mentre prendevano il caffè, gli rimproverava: "Alcuni, mio caro, si tuffano allegramente nelle cose, altri immergono prima l'alluce per controllare la temperatura: tu sei uno di questi" Usava sempre un linguaggio figurato, anche durante le sue sfuriate più tremende; aveva studiato al college, lei. "Tu misuri tutto col bilancino. Soppesi i sorrisi. Conti le parole. Sei un uomo freddo, molto freddo."
Lei invece si tuffava a capofitto, per tutta la vita non si limitò mai a immergerne l'alluce. Si tuffava perfino nei nostri pensieri, e li sconquassava e li devastava. Se avesse potuto infiltrarsi direttamente nel nostro cervello l'avrebbe fatto, portandosi dietro grosse valigie straripanti, e sacche colme di invidie, sospetti, rancori, estasi, passioni e paure. 
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Però quando partii per il college pianse. Venne da me mentre mangiavo un budino, mi premette la testa sul petto come se lei fosse la figlia e io la madre "Che effetto farà essere soli come i morti?" chiese. Aspettava una risposta, non era una domanda retorica, ma lì per lì non mi venne in mente nulla da dire. In stazione, salutandomi, mi raccomandò: "Susan, tesoro! Dimentica i brutti momenti. Siamo state anche bene insieme, no? Lo sai quanto ti voglio bene!" 
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Lui è rimasto in quella posizione rigida. Un giorno, ho pensato, mio padre morirà e la prima cosa che mi passerà per la testa sarà: "Eppure non gli ho mai detto... non gli ho mai fatto sapere che..." ma lì per lì non mi è venuto in mente nulla. Il silenzio si prolungava, e sentivamo distintamente ogni volta che Mark, in salotto, voltava una pagina dell'almanacco. Ho cominciato a temere che mi sarei lasciata sfuggire qualcosa di tremendo, una paura che mi viene spesso quando mi sento circondata dal silenzio. Allora mi sono messa a impilare i piatti facendo un gran baccano.
...
[Mark] Ha accanto le sue sorelle che chiacchierano e ridono, ma lui continua a mormorare tra sè indisturbato. E' troppo concentrato a imparare una nuova lingua. Alla luce gialla della lampada sembra dorato, come racchiuso in una bolla di fortuna; io lo guardo e gli sorrido, ma la bolla resta chiusa e sembra portarlo lontano. E vola via, sempre più lontano, mi lascia indietro, e non riesco a farmi venire in mente niente da dire che possa farlo tornare.

da Il bernoccolo delle lingue




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