lunedì 6 aprile 2015

DETROIT, UNA FABBRICA ABBANDONATA - PHILIP LEVINE

Un piccolo riquadro nell'ultimo numero di Poesia (Crocetti Editore) che per fortuna esce ancora nelle edicole, riporta la notizia della morte di questo autore e termina manifestando il rammarico per la sua scarsa "fortuna editoriale in Italia" ed io voglio raccogliere questo rammarico.
Purtroppo la tematica che Levine prediligeva e scriveva negli anni '30, adesso è quanto mai attuale qui in Italia e credo varrebbe la pena proporla tradotta in un volume, ma sarebbe più interessante fosse inserita nelle antologie scolastiche e magari anche discussa e approfondita, piuttosto di restare legati ai nostri poeti, sicuramente grandi e personalmente cari, ma lontani da questo momento storico. Ma ci sono insegnanti che parlano di poesia straniera e contemporanea? Ce ne sono che parlano di poesia?  Sono domande che mi faccio da molto tempo ma non ho una vera risposta.
Levine incarna il ruolo del poeta sociale, attento alla realtà che ha vissuto nelle fabbriche, dando voce a chi lavorava in posti di lavoro senza speranza, solo per non diventare povero. Disse: "Pensai che se avessi potuto trasformare la mia esperienza in poesia, le avrei dato il valore e la dignità che non avevano. E se avessi potuto scriverla avrei potuto capirla e capire il ruolo che ho avuto nella mia vita. Allora potrei pensarla con una certa gioia, un elemento vistosamente mancante nella mia vita."




Philip Levine nasce il 10 gennaio 1928 a Detroit, secondo di tre figli e primo di gemelli identici di genitori immigrati russi ebrei. Suo padre Herry ha una rivendita di ricambi di auto usate ma muore quando ha cinque anni. La madre Esther Priscol  (Prisckulnick) un negozio di libri.
Nella sua adolescenza ha dovuto confrontarsi con l'antisemitismo propagandato dalle trasmissioni settimanali della radio di padre Coughlin, lottando con chi voleva picchiarlo perchè ebreo.
A 14 anni trova lavoro - mal pagato, malsano e pericoloso - nelle fabbriche di auto, si diploma nel 1946 alla Central High School di Detroit, studiando nelle ore libere e continuando gli studi presso la wayne University, iniziando a scrivere poesie, incoraggiato dalla madre, alla quale dedica il libro The Mercy. Si laurea nel 1950, ma continua a fare degli "stupidi lavori" prello la Chevrolet e Cadillac.
L'anno successivo sposa Patty Kanterman, ma si separano due anni dopo. Inizia a frequentare l'Università dello Iowa, studiando con poeti come Robert Lowell e John Berryman, da lui definito come "suo grande maestro". Nel 1954, dopo un Master con una tesi su John Keats, si sposa con l'attrice Frances Artley. Inizia ad insegnare inglese nel 1958 alla California State University di Fresno fino al suo ritiro nel 1992, oltre che in numerose altre università. Nel 2011 viene insignito della carica di Poeta laureato.
Muore di cancro al pancreas il 14 febbraio 2015, a 87 anni. 


Immagine tratta dal sito di Pietromassimo Pasqui che ringrazio


DETROIT, UNA FABBRICA ABBANDONATA


I cancelli incatenati, la recinzione di filo spinato è lì,
come un’autorità di metallo contro la neve
e questo grigio monumento al senso comune
resiste alle stagioni. Ancora carica questa recinzione
delle paure di sciopero, di protesta, di uomini uniti
e della lenta corrosione delle loro menti.

Al di là, attraverso le finestre rotte, si vede
dove le grandi presse si sono fermate fra un colpo e l’altro
e così,  sospese nell’aria, restano prese
al margine certo dell’eternità.
Le ruote di ghisa sono ferme; si contano  i raggi
che il movimento sfuocava, i montanti che l’inerzia combatteva,

e si calcola la perdita del potere umano,
lento ed esperto, la perdita di anni,
il graduale declino della dignità.
Uomini vivevano in queste fonderie, ora dopo ora;
nulla di ciò che hanno forgiato è sopravvissuto agli ingranaggi arrugginiti
che sarebbero potuti servire a macinare il loro elogio.

da On the Edge, 1963
Trad. di Claudio Bellinzona



An Abandoned Factory, Detroit

The gates are chained, the barbed-wire fencing stands,
An iron authority against the snow,
And this grey monument to common sense
Resists the weather. Fears of idle hands,
Of protest, men in league, and of the slow
Corrosion of their minds, still charge this fence.

Beyond, through broken windows one can see
Where the great presses paused between their strokes
And thus remain, in air suspended, caught
In the sure margin of eternity.
The cast-iron wheels have stopped; one counts the spokes
Which movement blurred, the struts inertia fought,

And estimates the loss of human power,
Experienced and slow, the loss of years,
The gradual decay of dignity.
Men lived within these foundries, hour by hour;
Nothing they forged outlived the rusted gears
Which might have served to grind their eulogy.



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