sabato 8 agosto 2015

Poesia verticale n° 51 - ROBERTO JUARROZ


A Roberto Juarroz
Amico Juarroz, mi perdoni per aver tardato tanto a risponderle, ma non è molto che sono rientrato a Parigi, dopo alcuni mesi di lavoro a Vienna. Da tempo volevo dirle che la rivista mi è molto cara, perché mi permette di ascoltare da tanto lontano voci argentine nuove e giovani. Oggi però le scrivo per un’altra ragione, più impellente: ho appena finito di leggere Segunda poesía vertical, e ne sono rimasto meravigliato, incapace di fare quel passo indietro che inevitabilmente si compie dopo che un poeta ci ha permesso di addentrarci nella grande verità del suo mondo, del mondo. Le sue poesie mi sembrano tra i componimenti più alti e profondi (che poi è la stessa cosa, in realtà) che siano stati scritti in spagnolo in questi anni. Per tutto il tempo ho avuto la sensazione che lei riesca ad affacciarsi a ciò che indaga con una visione totalmente libera dalle impurità (verbali, dialettiche, storiche) che all’alba del nostro mondo patirono i poeti presocratici, quelli che i professori definiscono filosofi: Parmenide, Talete, Anassagora, Eraclito. A lei (e a loro) basta guardarsi intorno perché qualsiasi visione prosaica cada a pezzi di fronte alla poesia, che si impossessa totalmente dell’essere. Ho letto ad alta voce i componimenti che capisco meglio (altri mi sfuggono o mi richiedono un’interpretazione che è forse più un’autoconsolazione per non poterli intuire a prima vista), e in ogni caso ho avuto nuovamente quella prodigiosa sensazione di straniamento, di rapimento, di accesso. Ho sempre amato la poesia che procede per inversione dei segni; l’uso dell’assenza in Mallarmé, alcune «anti-essenze» di Macedonio, i silenzi nella musica di Webern. Ma lei amplifica tali inversioni, che in altre mani finiscono per ridursi a giochi di parole, fino all’inverosimile. E allora, lo sguardo che vede e lo sguardo che non vede, una volta attorcigliati a formare un solo filo, [1] sono qualcosa di incredibilmente fecondo, un’invenzione dell’individuo. Era molto tempo che non leggevo poesie che mi estenuassero e mi esaltassero quanto le sue, e glielo dico così, di getto e senza rileggere, per non rischiare di farmi prendere dalla confusione e dalla paura davanti a tante parole sonore. Immagino che mi crederà lo stesso, e che siamo già amici, e un abbraccio.
(Carta Carbone.Lettere ad amici scrittori - Julio Cortazar)


Ho voluto inserire questo stralcio a commento della poesia di Juarroz per mostrarvi un esempio dell'incanto di Cortazar verso i componimenti degli amici scrittori e poeti, il suo entusiasmo che lo porta a battere a macchina lettere di ammirazione - talvolta di critica - per dei versi, come in questo caso, oppure per dei personaggi di qualche romanzo che gli veniva fatto recapitare dall'autore, così di getto, senza "fare prosa", e volevo anche evidenziare il modo di chiudere la lettera, così tipico di Julio e farvi rileggere il verso finale della poesia postata in precedenza. Sono così simili per costruzione... Non si può confondere il suo modo di scrivere come non si può confondere una tonalità di voce conosciuta.
E  davanti a questo commento empatico ma lucido, intelligente e mirato, sulla poetica di Roberto posso dire qualcosa di più o di meglio? No, meglio tacere.


[1] - Si tratta della poesia 67 del volume Seconda poesia verticale 1963








Poesia verticale n° 51

Un giorno troverò una parola
che penetri il tuo corpo e ti fecondi,
che si posi sul tuo seno
come una mano aperta e chiusa al tempo stesso.
Incontrerò una parola
che trattenga il tuo corpo e lo faccia girare,
che contenga il tuo corpo
e apra i tuoi occhi come un dio senza nubi
e usi la tua saliva
e ti pieghi le gambe.
Tu forse non la sentirai
o forse non la capirai.
Non è necessario.
Vagherà dentro di te come una ruota
fino a percorrerti da un estremo all’altro,
donna mia e non mia
e non si fermerà neanche quando tu morirai.




 51

Algún día encontraré una palabra
que penetre en tu vientre y lo fecunde,
que se pare en tu seno
como una mano abierta y cerrada al mismo tiempo.

Hallaré una palabra
que detenga tu cuerpo y lo dé vuelta,
que contenga tu cuerpo
y abra tus ojos como un dios sin nubes
y te usa tu saliva
y te doble las piernas.
Tú tal vez no la escuches
o tal vez no la comprendas.
No será necesario.
Irá por tu interior como una rueda
recorriéndote al fin de punta a punta,
mujer mía y no mía,
y no se detendrá ni cuando mueras.

(POESÍA VERTICAL 1958)

2 commenti:

  1. Poesia mia amata:-)
    Seguimi, commenta, leggi: http://ricercare-se-stessi.blogspot.it/

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  2. Bella, sia la poesia che la lettera del grande Cortázar...

    Un caro saluto!


    Antonio Bux

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