domenica 20 novembre 2011

CERTI ALBERI - JOHN ASHBERY

sabato, 09 ottobre 2010
CERTI ALBERI - JOHN ASHBERY
 
E' molto giocata sul confine tra albero e parola questa poesia, io credo.
La suggestione di un bosco al mattino, durante una passeggiata in un "silenzio già colmo di rumori" o piuttosto ogni albero è la personificazione di una parola e la passeggiata rappresenta un aggiungere di albero in albero, nuove parole, nuovi significari alla conversazione, nuova consapevolezza alla vita?
Non so voi, io mi accontenterei di quel "coro di sorrisi".




John Ashbery è nato a Rochester il  28 luglio 1927. E'  considerato il massimo esponente della scuola poetica newyorkese. Svolge la propria opera artistica principalmente in un ambito meditativo, riuscendo a far confluire linguaggi e stili del mondo dei mass-media, della cinematografia e del colloquiale quotidiano.
Autore di oltre venti libri di poesia, è stato insignito di numerosi premi e riconoscimenti, tra cui il Premio Pulitzer, il National Book Award, il Premio Bollingen e il riconoscimento dell'Accademia dei Lincei; è stato il primo poeta di lingua inglese a vincere il Grand Prix de Biennales Internationales de Poésie di Bruxelles e, nel 1992, ha vinto il Premio Feltrinelli per la poesia internazionale.
Professore di letteratura al Bard College, vive tra New York e Hudson. Il suo primo libro pubblicato in Italia fu Autoritratto in uno specchio convesso (Garzanti, 1983), con un'introduzione di Giovanni Giudici e traduzione di Aldo Busi e per il quale Ashbery ricevette ben tre prestigiosissimi premi: il Pulitzer Prize, il National Book Award e il National Book Critics Award. Aldo Busi fu tra coloro che lo fecero conoscere al pubblico italiano, facendone il soggetto della propria tesi di laurea e più volte traducendolo.
Sintesi da Wikipedia





CERTI ALBERI

Questi sono stupefacenti: accosto
ciascuno al vicino, come se il discorso
fosse una messa in scena silente.
Dandoci stamane casualmente

appuntamento così tanto via
dal mondo quanto in armonia
con esso, io e te
siamo d’improvviso ciò che

gli alberi cercano di dirci
che siamo: che il loro mero esserci
ha significato; che potremo toccare
presto, e amare e spiegare.

E lieti di non avere inventato
noi tale grazia, ne siamo circondati:
un silenzio già colmo di rumori,
una tela su cui affiori

un coro di sorrisi, d’inverno, un mattino.
Posti in una luce sconcertante, e in cammino,
i nostri giorni indossano una tale reticenza
che questi accenti paiono la loro
stessa resistenza.



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