mercoledì, 27 maggio 2009
FANDANGO - CRISTIANI SAVERIO
Il giorno 23 Maggio scorso, presso il Teatro Le Loggie di Montecorsaro, si è svolta la premiazione del Concorso “I Viaggi Divini”.
A vincere il PRIMO premio, nella sezione “Racconti di viaggio”, è stato proprio l'amico Saverio Cristiani, con il suo racconto FANDANGO che propongo qui sotto, col beneplàcito dell'autore che, ovviamente, ringrazio.
La motivazione del premio:
Per la sezione A inerente ai racconti di viaggio il primo premio va a SAVERIO CRISTIANI col racconto FANDANGO.
"La giuria è rimasta colpita dalla naturalezza con cui l’Autore fa un viaggio trentennale immaginario ( o reale? ) che parte dal 1975 al 2005. La sua giovinezza, quel periodo in cui i sogni e i vent’anni sono protagonisti assoluti, lo conducono nella malinconia del “come saremo”, del “cosa accadrà poi” e la paura di perdere quel senso di gioia e spensieratezza dell’età giovanile a cui l’essere umano tiene fortemente. Ritroverò i miei amici? Cambieremo? E come cambieremo? Sono descrittivi i passaggi, quei momenti irripetibili di musica, quella musica che tutti coloro che si avvicinano ai cinquant’anni non posso scrollarsi dalla pelle, perché quegli anni furono davvero unici. Saverio Cristiani convince e coinvolge grazie a una penna semplice ma efficace, alla capacità di spaziare nelle varie tematiche facendo dei riferimenti reali, confidando quei sogni meravigliosi ai lettori. Una scrittura avvincente e romantica, con un retrogusto poetico in alcune scene che sanno proprio di anni settanta: le stelle infinite da contare, sperando di venderne cadere qualcuna nelle notti estive, già perché allora non si stava davanti ai computer, allora si suonava davvero e bastava una vecchia fiat per girare il mondo. Bastava poco per sentirsi giovani e felici. In tutto questo percorso, Cristiani riesce a riflettere e a trasmetterci i suo valori di ragazzo e poi uomo. Un adulto arrivato che non ha smesso di sognare né di viaggiare con la mente e col cuore. Quella sera così importante per lui determina il senso del racconto e presenta una realtà meno negativa e avvilente, regala il sogno comune. L’escamotage che poi intreccia tutta la storia è il dubbio. Ma quei trent’anni sono trascorsi davvero? O siamo ancora qui abbracciati , in cerchio, a guardare le stelle? Splendida la metafora che si stempera in un lessico ampio e armonioso."
Il FIAT 238 rosso arrancava tra piccole e sconosciute stradine nella campagna del centro Sicilia. Avevamo lasciato all’una di notte il locale dove ci eravamo esibiti, l’Oasi di Caulonia, alla periferia di Pietraperzìa, ed ora sotto la pioggia battente cercavamo di trovare la strada di casa.
Appena giunti nel paesino dell’Ennese, il pomeriggio precedente, quasi non credevamo ai nostri occhi; una collina intera degradava verso di noi interamente ricoperta dai tetti di vecchie case bianche. Quell’insieme omogeneo di edifici, senza nemmeno un campanile ad interromperne la geometria, visto da lontano somigliava ad una coperta di cachemire colorato che qualcuno avesse steso inavvertitamente a terra avendo cura di non lasciare pieghe. Il colore dei tetti si spegneva nel grigio scuro delle nubi che minacciose lasciavano presagire l’imminente temporale.
Raggiunto il locale all’uscita del paese l’immagine che ci aveva accolto era quella di un posto fuori dal tempo: una grande arena coperta, circolare, a scaloni in anacronistico cemento post-moderno, sicuramente residuo degli anni 60, quando la modernità si misurava a colate e metri cubi. L’illuminazione era affidata a squallidi e tremolanti neon, il piccolo palco delimitato da un vecchio pezzo di moquette.
In quel pomeriggio d’agosto del 1975 potevamo vedere ancora affissi alle pareti i manifesti di cantanti ormai scomparsi dalla ribalta diversi anni prima; Marisa Sannia, Adamo, I Corvi, Mario Tessuto, ed altri artisti locali sconosciuti. Tra le vecchie locandine colorate anche la nostra, che con uno spartana scritta bianca su fondo nero recitava “Venerdì 1 Agosto: LA SINTESI - Complesso vocale e strumentale”. Inorridimmo vedendo il nostro nome affiancato ai vari cantanti melodici; tra di noi, brillanti diciottenni catanesi, fioccavano i sorrisetti ironici di chi si sente un poco superiore; noi, che avremmo portato la novità tra quelle colline suonando Deep Purple e Santana o Deodato e Steely Dan.
La serata era andata bene, ma il pubblico era stato poco espansivo; forse sarebbe stato meglio presentare un repertorio più italiano, chissà.
A questo ripensavoseduto nel retro del furgone, sballottato tra gli strumenti ordinatamente accatastati, insieme a Nello e Salvo mentre Fulvio, il nostro batterista, alla guida, sbadigliava con insistenza. Accanto a lui Rosario e Nuccio chiacchieravano ad alta voce sulle ragazze conosciute al locale, col chiaro intento di tenere sveglio l’autista.
Da dietro li ascoltavamo ed ogni tanto Nello interveniva per esprimere la propria opinione. Solo Salvo riusciva impudicamente a dormire con in capo appoggiato sulla custodia del sax, rannicchiato tra amplificatori ed aste di microfoni, in improbabili posizioni che richiamavano alla mente lo yoga da lui tanto amato.
Dopo oltre un’ora di guida, tra campi a malapena divisi da minuscoli muretti a secco, e rade indicazioni stradali, eravamo ancora in aperta campagna, con la chiara sensazione di esserci perduti. La cosa venne confermata quando, dopo l’ennesima svolta, ci ritrovammo nel cortile della discoteca.
La benzina cominciava a scarseggiare, e Fulvio decise per una breve sosta di riflessione durante la quale decidere il da farsi.
Mentre valutavamo se scendere a sgranchirci le gambe nonostante la pioggia, improvvisa la voce di Rosario intimò:
- Fulvio, spegni luci e motore. Aspettiamo almeno che passi ‘stu malutempo, poi ripartiamo
In pochi minuti i vetri si appannarono e restammo veramente come isolati dal mondo. Qualche chiacchiera ancora, per inerzia, ragionando su come comportarsi; partire aspettando la luce del giorno, o avventurarsi nuovamente nel buio cercando di non sbagliare nuovamente strada ?
Nel silenzio li udivo parlare, e pensavo con rammarico che quella appena conclusa era stata la nostra ultima serata. Due giorni dopo giorni sarei partito per il servizio di leva ed il gruppo si sarebbe automaticamente sciolto. Non era prevista nessuna mia sostituzione, e questa strana forma di eutanasia era stata da tutti accettata senza remore. – anche perché gli altri avrebbero poi seguito analoga sorte.
Nell’oscurità cercavo di fissare nella mente le loro voci, ed i volti appena illuminati dal chiarore del cruscotto o dalla brace di una sigaretta. E non potevo fare a meno di ricordare tutte le serate che avevamo vissuto, tutto il tempo passato con loro negli ultimi anni.
Suonavamo insieme dai tempi delle medie, ed avevamo condiviso tanto la fatica del sudare ognuno sul proprio strumento, quanto l’entusiasmo per le nuove scoperte musicali e la gioia per la soddisfazione dell’esibirsi in pubblico. Non più solo cantine umide e fredde, ma un palco finalmente vero, davanti al pubblico in carne ed ossa. Quella era la mia seconda famiglia, i fratelli che non avevo mai avuto, la mia casa itinerante. Ma dentro di me mi rendevo conto che qualcosa stava per finire quella notte, e che da domani sarebbe stato tutto irrimediabilmente diverso. Non migliore o peggiore, solo differente; e questa forma di ignoto un poco mi impauriva.
Nel frattempo le lunghe discussioni di poco prima si erano concluse, ed il rumore della pioggia sul tetto del furgone era l’unico suono rimasto. Accompagnati da quell’ipnotico tamburellare in breve tempo ci eravamo tutti addormentati nelle posizioni più scomode.
Ci svegliammo dopo un’ora, e stiracchiandoci scendemmo dal veicolo.
Restammo a bocca aperta. Delle nubi e della pioggia di poco prima non era rimasto più nulla. Non inquinata da rumori e da luci di alcun tipo la campagna intorno era silenziosa e scura, ed il cielo sopra di noi uno spettacolo indimenticabile. Miriadi di stelle brillavano sino a creare un tappeto di luci argentate sulle nostre teste; ne vedevamo ovunque guardassimo, sparse a caso ed omogenee allo stesso tempo, quasi a fare da sottofondo a quelle più vicine lucenti come lame, e la volta celeste era interrotta solo dal profondo nero ondulato delle colline circostanti. Sembrava che il cielo ci volesse salutare col suo vestito migliore. Senza parole ci guardammo e con la massima naturalezza dissi:
- ragazzi, questo sì che è spettacolo. E’ solo per noi, non credete? Ci dovremo ricordare di questo momento, perché non capiterà forse mai più di trovarci davanti un cielo così e di poterlo condividere tutti insieme. Venite qui, facciamo una cosa.
Si avvicinarono tutti a me con sguardi interrogativi.
- Promettiamo di ritrovarci qui fra trent’anni, in questo stesso giorno ed in questo stesso punto….? Qualsiasi cosa ci possa accadere, ovunque i nostri destini ci possano portare, ricordiamoci sempre questo momento, e l’appuntamento che stiamo fissando sino da ora per il futuro. Sarà come una sfida con noi stessi per non perderci, per non dimenticare….
Tutti mi guardarono un poco stupiti, poi poco per volta riuscii ad intravedere un sorriso sui loro volti. Ci radunammo a cerchio, abbracciandoci come fanno gli sportivi prima di una grande prova; ed in fondo penso che la vita che ci attendeva fosse davvero la più grande delle prove. Rimanemmo così, senza parlare, un paio di minuti, quasi fosse un addio anticipato cui voler partecipare, pur senza parole.
Prima di ripartire, vidi Salvo che si attardava contro un piccolo albero a lato della strada.
- Dài Salvo, annacati ca ne stamo iennu*
- Arrivo arrivo
Tornammo in silenzio, questa volta senza mai sbagliare strada, ed alle prime luci dell’alba eravamo in vista di Catania. Col nuovo giorno sembrava iniziare una nuova vita per ognuno di noi.
Con quel nostro saluto anzitempo, nella notte, avevamo forse cominciato ad invecchiare un poco più velocemente.
***
- Per cortesia, una granita con brioche.
- Che gusto la granita?
- Hmhm..….me la porti di mandorla
- Subito dottore
Il barista si affretta a prepararmi la colazione mentre distrattamente sfoglio il giornale di Sicilia.
In questa torrida estate del 2005 non succede un granchè, e trovarsi per lavoro a Catania, dopo tanti anni dalla mia partenza, è un veramente caso speciale. La città non è più la stessa della mia adolescenza, fatico a riconoscere strade che una volta percorrevo ad occhi chiusi. Oggi è lunedì ma il lavoro mi regala una pausa con due giorni di meritato riposo. Andrò in spiaggia alla Playa; anzi no, tornerò ad Ognina, sul litorale lavico ad est che vide i miei primi tuffi. Con passo veloce attraverso via Luigi Capuana, dov’era la cantina utilizzata dalla mia vecchia band per le prove. Degli antichi amici non ho più notizie da anni; qualcuno se ne è andato all’estero e non è più tornato, qualcuno forse è già nonno, e c’è’ chi, come me, si è trasferito al Nord ed ha da tempo iniziato una nuova vita.
Quante immagini tornano alla mente osservando lo sgangherato portone: la vecchia vespa azzurra di mio padre appoggiata al muro, tra la moto di Nuccio ed il Garelli di Salvo, le scale ripide e buie, mille volte maledette quando trasportavamo gli strumenti; e nella stanza interrata l’allegria mentre dividevamo fraternamente due pizze, o i cartocci di olive acquistate al mercato vicino, da consumare col pane caldo di forno, unica possibilità per noi giovani squattrinati.
Mi lascio alle spalle un carico di ricordi densi come nebbia, e cerco di distrarmi pensando a come impiegare il tempo libero; domani è il due agosto e potrei…….
Il due agosto ! Cosa significa questa data…? Ma si, ora ricordo, ed ho ben chiaro cosa fare.
L’autonoleggio è vicino all’albergo, ed una berlina è a mia disposizione in breve tempo.
Le indicazioni sono chiare questa volta, e non serve esercitare la memoria per tornare in quel luogo; però me la prendo con calma, guido tranquillo assaporando il piacere del ritrovare angoli una volta conosciuti, bivi dimenticati, case e paesaggi che non sapevo di avere ancora nel cuore.
Quando arrivo a Pietraperzìa è pomeriggio inoltrato. Il paese non sembra cambiato, ma l’immagine che ne ho nella mente potrebbe essere distorta dagli anni trascorsi.
Anche l’Oasi di Caulonia è sempre al suo posto; mi appare da lontano ed è proprio come ricordo di averla vista la prima volta. Qualche pianta ad alto fusto in più intorno, ma gli stessi campi aridi e desolati che la circondano; e nel cortile…….un furgone rosso !!
Mi sembra di vivere un incredibile deja vu visto dal di fuori, e mi aspetto di sentire le voci dei miei vecchi compagni che chiamano il mio nome, o di vederli scendere da un momento all’altro.
Mi batte il cuore ed involontariamente decelero, quasi avessi paura di ciò che potei trovare ad aspettarmi. Poi la ragione ha il sopravvento e parcheggio accanto al veicolo fermo.
Scendo e col cuore che mi batte all’impazzata mi avvicino. A bordo due giovani che stanno consumando un panino; sono un ragazzo ed una ragazza, biondi e dalla carnagione chiara, lui ha i capelli ricci e gli occhi verdi. Mi osserva con sguardo interrogativo ed affacciandosi dal finestrino mi chiede:
- Please, can I help you ??
Con un gesto di diniego del capo mi allontano, la targa è straniera, non l’avevo notato.
Dalla loro autoradio la chitarra magica di Samba pa ti, riempie l’aria.
Adesso è notte fonda e sono ancora qui, mentre nell’abitacolo della macchina risuonano le note ispirate e nostalgiche di Pat Metheny. La mia attesa è stata inutile, ed in fondo sono un pò deluso.
Sono le quattro e scendo dal veicolo per stiracchiarmi un poco.
Alzo gli occhi al cielo ed è come un salto nel tempo, ma questa volta la tempesta non è fuori: il profumo di strada bagnata, il brivido della notte, l’oscurità delle colline, le migliaia di stelle, le stesse di trent’anni fa, tutto mi circonda come allora.
Immagino una impossibile triangolazione cosmica tra le stelle del 1975 e la mia posizione di oggi, ma so che nell’eterno movimento dell’universo questo periodo è troppo breve, nulla più di un infinitesimo battito di ciglia, e penso che se a quel tempo ci fosse stato qualcuno lassù ad osservarmi, probabilmente oggi non noterebbe alcuna differenza.
Mi rendo conto che nonostante gli anni passati, alcune cose non possono cambiare. O forse cambiano, e siamo noi a non accorgercene mai in tempo utile. Sempre presi a conteggiare emozioni, catalogando il buono ed il cattivo come si fa con le carte rosse e quelle nere. Ed in tal modo perdendo gradualmente la capacità di vivere, momento per momento, ciò che lungo la strada ci viene offerto. Per trovarsi poi infine, sempre ed irrimediabilmente soli a pagare il conto di tutto ciò di cui non abbiamo saputo godere.
Non so spiegarmi il perchè ma un improvviso senso di solitudine mi assale, ed è tanto intenso che mi fa quasi venire voglia di piangere.
Per calmarmi cammino un poco, e come guidato da una mano invisibile mi avvicino ad un grande acero; sul suo tronco, debolmente illuminato dai fari, a due metri d’altezza, intravedo dei caratteri incisi con un coltellino. A fatica riesco a decifrare la scritta, che da un altro tempo mi giunge dritta all’anima come una stilettata: c’è una parola sola, con una data:
SINTESI
2 Agosto 75
Mi guardo intorno e davanti a me rivedo cinque ragazzi che nel silenzio si abbracciano.
Amici, sciogliamoci da questo abbraccio, e riprendiamo la strada di casa, che la pioggia è finita, ed io sono finalmente tornato.
Anzi, a ben pensarci forse non ero mai veramente andato via.
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* sbrigati che stiamo partendo
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Qui il racconto prende a braccetto la poesia.
Col pretesto di un ricordo, l'autore ci porta dentro a sentimenti e riflessioni intense e personali, simili ad altre da noi vissute in altri contesti e situazioni quando la vita volta pagina.
Il riconoscimento è meritatissimo, come le altre piccole soddisfazioni che ha collezionato.
Col pretesto di un ricordo, l'autore ci porta dentro a sentimenti e riflessioni intense e personali, simili ad altre da noi vissute in altri contesti e situazioni quando la vita volta pagina.
Il riconoscimento è meritatissimo, come le altre piccole soddisfazioni che ha collezionato.
NATACARLA |
CIAO E A PRESTO. DIEGO