sabato 26 novembre 2011

SOLITUDINE - JOHN KEATS

lunedì, 29 agosto 2011
SOLITUDINE - JOHN KEATS
 
Non posso fare a meno di notare il parallelismo  tra l'incipit di John e quello di Julio.
Ve lo ripropongo qui:
"Se devo vivere senza di te, che sia duro e cruento" (Cortazar)

"Solitudine, se vivere devo con te,
sia almeno lontano dal mucchio confuso"
(Keats)
Presupposti (quasi) simili, per risultati opposti. Julio parla della fine di un amore, John solo (?) della solitudine, almeno apparentemente. Li divide un abisso di tempo: John è un poeta dello scorso secolo ed è portato al cosiddetto Fuori montaliano, con emozioni descritte dal verso; Julio - nato a distanza di quasi un secolo dalla sua morte -  invece crede nel Dentro. Nelle sue poesie  le emozioni sono solo vibrazioni lasciate tra un verso ed il successivo, tra una parola e l'altra.




John Keats nacque a Londra il 31 ottobre 1795. Crebbe nella tenuta del nonno paterno, che il padre amministrava, ma della sua infanzia non si sa molto. Geloso della madre e protettivo nei confronti del fratello Tom, anche se aveva anche altri tre fratelli, a quattordici anni era già orfano di entrambi i genitori; il padre per una caduta da cavallo (1804), la madre per tisi (1810). Proprio dopo la morte di questa ultima, abbandonò i suoi studi per lavorare come apprendista farmacista. Riprenderà più tardi gli studi in medicina, indirizzatovi dal tutore che nel frattempo la nonna aveva nominato per amministrare il patrimonio della sua famiglia, tale Richard Abbey. Purtroppo con la sua disonestà – o incapacità - costrinse i ragazzi e John in particolare, a vivere in ristrettezze economiche fino alla fine dei suoi giorni.
L'intera eredità fu restituita poi ai due fratelli superstiti, George e Fanny, dopo la morte di Abbey.
Nonostante le ristrettezze economiche, nel 1816 John abbandona la medicina per la poesia; incontrerà Leigh Hunt che gli pubblica sulla rivista Examiner, di cui era direttore, la poesia “O solitudine” e l'altro grande poeta Shelley. L'anno successivo uscirà il suo primo libro che ricevette critiche negative, come pure il successivo volume, pubblicato nel successivo 1818. Dovra prendersi cura del piccolo Tom, ammalato anche lui di tisi che morirà in quell'anno.
Ma nonostante il disprezzo della critica e le scarse vendite, in questo periodo John stringe amicizie importanti, tra cui Joseph Severn che lo assisterà fino alla fine e Richard Woodhouse, custode delle sue poesie, lettere e aneddoti sul poeta, scriverà quelle odi che ce lo consegneranno come uno dei più grandi poeti e coronerà il suo amore per Fanny Brawne con un fidanzamento ufficiale.
Purtroppo nel successivo febbraio 1820 iniziano i primi attacchi di tubercolosi, malattia che John conosce bene e che non gli lascia grandi speranze.
Nel settembre si trasferirà in Italia, per il clima mite, accompagnato da Severn.
Il 30 novembre già scrive a Brown: "Ho la sensazione continua che la mia vita reale sia già passata, e di star quindi conducendo un'esistenza postuma...".
Il 23 febbraio 1821 John muore, rivolgendo a Severn le sue ultime parole:
"Severn, sollevami perché sto morendo - morirò facilmente - non spaventarti - grazie a Dio è arrivata".
Viene sepolto nel Cimitero Protestante di Roma. Sulla sua tomba non c'è nessun nome, solo la scritta:
« Questa tomba contiene i resti mortali di un GIOVANE POETA INGLESE che, sul letto di morte, nell’amarezza del suo cuore, di fronte al potere maligno dei suoi nemici, volle che fossero incise queste parole sulla sua lapide: “Qui giace un uomo il cui nome fu scritto con l'acqua”  »
Sulla lapide venne incisa una lira greca con quattro delle otto corde spezzate “per mostrare il suo Genio Classico spezzato dalla morte prematura”, secondo l’interpretazione data più tardi da Severn.






SOLITUDINE

Solitudine, se vivere devo con te,
sia almeno lontano dal mucchio confuso
delle case buie; con me vieni in alto,
dove la natura si svela, e la valle,
il fiorito pendio, la piena cristallina
del fiume appaiono in miniatura;
veglia con me, dove i rami fanno dimore,
e il cervo veloce, balzando, fuga
dal calice del fiore l'ape selvaggia.
Qui sarei felice anche con te. Ma la dolce
conversazione d'una mente innocente, quando le parole
sono immagini di pensieri squisiti, è il piacere
dell'animo mio. E' quasi come un dio l'uomo
quando con uno spirito affine abita in te.






O Solitude! If I must with thee dwell

O Solitude! If I must with thee dwell,
Let it not be among the jumbled heap
Of murky buildings; climb with me the steep, -
Nature's observatory - whence the dell,
Its flowery slopes, it's river's crystal swell,
May seem a span; let me thy vigils keep
'Mongst boughs pavillion'd, where the deer's swift leap
Startles the wild bee from the fox-glove bell.
But though I'll gladly trace these scenes with thee,
Yet the sweet converse of an innocent mind,
Whose words are images of thoughts refin'd,
Is my soul's pleasure; ad it sure must be
Almost the highest bliss of human-kind,
When to thy haunts two kindered spirits flee




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