sabato 19 novembre 2011

VADO A DORMIRE - ALFONSINA STORNI

martedì, 27 aprile 2010
VADO A DORMIRE - ALFONSINA STORNI
 
Una biografia che si legge d'un fiato, e che ho alleggerito dei soli tratti non autobiografici.
Una vita portata avanti con determinazione e coraggio che ben si addice allo sguardo diretto e per niente intimorito, benchè ancora così innocente, che mostra in questa immagine.

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Ampio stralcio dal sito Fili d'Aquilone
Nata il 29 maggio 1892 in Svizzera, nel Canton Ticino (Sala Capriasca), Alfonsina Storni emigra con la famiglia in Argentina (San Juan, poi Rosario) quando aveva solo quattro anni, ma è nella parte svizzera italofona che apprende, dai genitori Alfonso Storni e Paulina Martignoni, a parlare la lingua italiana.
Nel 1906 muore il padre e le difficoltà economiche, già molto difficili, si fanno tragiche. La giovane Alfonsina dall’età di dieci anni già lavora come sarta, operaia, lavapiatti e cameriera nel bar di famiglia (il “Caffè svizzero”, nella città di Rosario) e più avanti, nel 1907, come attrice, cosa che segnò un cambio di rotta nella sua vita, dandogli la possibilità di uscire dal disperato ambiente familiare, di girare il paese in lungo e in largo, di allargare i propri orizzonti e conoscere le opere del teatro classico e contemporaneo.
Nel 1909 riesce, nonostante tutto, a diplomarsi e nel 1910 comincia a insegnare, ma a vent’anni resta incinta e, coraggiosamente, decide di tenere il figlio e trasferirsi a Buenos Aires. Nell’aprile 1912 nasce il figlio Alejandro e non rivela il nome del padre. Per mantenersi da ragazza-madre lavora come cassiera in un negozio, da questo momento in poi affronterà la vita da sola, allevando il figlio e affrontando le tante difficoltà quotidiane, nonché i pregiudizi morali di una società ipocrita e bacchettona.
Alcune riviste importanti (tra le quali “Mundo argentino”) accolgono i suoi testi poetici e nel 1916 pubblica la sua prima raccolta, La inquietud del rosal (L’inquitudine del roseto).
È l’inizio di una intensa attività poetica, che è anche riscatto esistenziale e sociale. Stringe amicizia con intellettuali d’area socialista, come Manuel Ugarte e José Ingenieros, e recita le sue poesie nelle biblioteche di quartiere, in una Buenos Aires in continua e rapida espansione.
Due anni dopo esce la raccolta El dulce daño (Il dolce danno) e nel 1919 Irremediablemente (Irrimediabilmente) e, infine, nel 1920, Languidez (Languore), che ottiene riconoscimenti e premi importanti.
Quattro raccolte in quattro anni e così, dopo enormi sacrifici, Alfonsina Storni, riesce a crearsi un proprio spazio letterario, a raggiungere una buona notorietà e il suo nome comincia a giare anche all’estero. Frequenta spesso Montevideo, cosa che farà fino alla morte, allacciando buone amicizie con scrittori uruguayani, come Juana de Ibarbourou e, soprattutto, con Horacio Quiroga, con il quale vivrà un’intensa relazione.
Dal 1923 insegna Lettura e declamazione alla Escuola Normal de Lenguas Vivas, inizia a occuparsi anche di teatro, scrive il dramma El amo del mundo (Il padrone del mondo), che verrà rappresentato nel 1927 ma senza successo, e alcuni racconti.
Ora può lavorare sulla poesia con maggiore riflessione, senza fretta, senza quell’urgenza che aveva caratterizzato i primi libri. Riceve la visita della cilena Gabriela Mistral, che poi in un articolo ne esalterà la bellezza e la semplicità e, insieme, la sua forza di donna indipendente e coraggiosa.
Collabora molto a riviste e periodici, anche sotto pseudonimo, insistendo sulla situazione della donna nella società contemporanea e sul suo diritto di voto (che in Argentina arriverà nel 1946), di libertà e di realizzazione personale anche al di fuori del matrimonio. Il suo è un giornalismo innovativo e battagliero, che prova con ironia, talvolta con umorismo, a scardinare i pregiudizi della società patriarcale e conservatrice degli anni ’20, e non solo in Argentina.
Viaggia in Europa, ma è a Buenos Aires che conosce García Lorca (che resta nella città dall’ottobre 1933 al febbraio 1934), al quale dedicherà la poesia “Ritratto di García Lorca”.
Nel 1925, poco più che trentenne, pubblica la sua quinta, rilevante raccolta: Ocre (Ocra), lavoro più maturo, complesso e stratificato dei precedenti, che segna anche il culmine della breve traiettoria poetica di Alfonsina Storni. Qui la sofferenza è meno personale, si slarga lo sguardo, le immagini spesso sono ironiche e taglienti. C’è sempre la rivolta, ma ora è soprattutto esistenziale e si è fatta più generale. Il bersaglio non è solo l’uomo, anche la donna deve liberarsi dei pregiudizi, dei luoghi comuni e vivere pienamente la propria intimità, così come il proprio corpo. La Storni anticipa tematiche poi sviluppate in America negli anni sessanta, è su posizioni, per l’epoca, “ultramoderniste” (è lei stesa a rendersene conto e a scriverlo), per questo molti critici l’accusano d’immoralità, di “denigrare l’uomo”. Anche la rivista letteraria “Martín Fierro”, diretta dal brillante e giovane Jorge Luis Borges, l’attacca, soprattutto per lo stile poetico diretto “da confessione”, poco metaforico.
Nel 1926 pubblica Poemas de amor, che in realtà sono delle prose poetiche, in cui fa il punto della propria esistenza, così profondamente cambiata nel giro di pochi anni, e riflette sulla poesia e i propri sentimenti. Testi semplici sì, ma diretti, asciutti e spesso contundenti.
Più tardi, nel 1934, darà alle stampe il libro di poesia (nove anni dopo Ocre) Mundo de siete pozos (Mondo di sette pozzi), sperimentale e, ad un tempo, carico di angosce. Qui si realizza un netto distacco dalle tematiche precedenti, un’apertura verso il nuovo, una vicinanza con la poesia spagnola della “Generazione del ’27”, che aveva conosciuto nei suoi viaggi in Europa nel 1930 e nel 1932.
Nel 1935 gli diagnosticano un tumore, viene operata a maggio e le asportano un seno. Inizia le cure per bloccare il male, ma scivola nella depressione.
Nel 1937 si suicida lo scrittore uruguayano Horacio Quiroga e per lei è un durissimo colpo: scrive un poema dove la morte dell’amico è vista come la sua stessa morte.
Nel gennaio 1938 il Ministero dell’Istruzione dell’Uruguay organizza un grande incontro con quelle che vengono considerate le tre poetesse più importanti viventi nel continente americano: Juana de Ibarbourou, Alfonsina Storni e Gabriela Mistral. In passato non era mai accaduto che donne scrittrici godessero di una simile considerazione.
Nel 1938, un mese prima della morte, pubblica l’ultima raccolta poetica, Mascarilla y trébol (Maschera e trifoglio), dove mescola spinte avanguardiste a un recupero di forme metriche tradizionali: la realtà appare accerchiata da immagini oscure, spesso grottesche. Dà alle stampe anche una Antológia Poética, con testi scelti dall’autrice.
Nell’ottobre 1938, all’età di quarantasei anni, Alfonsina Storni, preso atto che la malattia non si arresta e non lascia speranze e che il dolore le impedisce di scrivere, si suicida affogando nel Mar del Plata, davanti la spiaggia La Perla. Nell’albergo dove alloggiava lascia una lettera all’amato figlio Alejandro e la sua ultima poesia, “Voy a dormir”:




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VADO A DORMIRE

Denti di fiori, cuffia di rugiada,
mani di erba, tu, dolce balia,
tienimi pronte le lenzuola terrose
e la coperta di muschio cardato.

Vado a dormire, mia nutrice, mettimi giù.
Mettimi una luce al capo del letto
una costellazione; quella che ti piace;
tutte van bene; abbassala un pochino.

Lasciami sola: ascolta erompere i germogli...
un piede celeste ti culla dall'alto
e un passero ti traccia un percorso

perché dimentichi... Grazie. Ah, un incarico
se lui chiama di nuovo per telefono
digli che non insista, che sono uscita...




Voy a dormir

Dientes de flores, cofia de rocío,
manos de hierbas, tú, nodriza fina,
tenme prestas las sábanas terrosas
y el edredón de musgos escardados.

Voy a dormir, nodriza mía, acuéstame.
Ponme una lámpara a la cabecera;
una constelación; la que te guste;
todas son buenas, bájala un poquito.

Déjame sola: oyes romper los brotes…
te acuna un pie celeste desde arriba
y un pájaro te traza unos compases.

para que olvides…Gracias. Ah, un encargo:
si él llama nuevamente por teléfono
le dices que no insista, que he salido.



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