domenica 19 agosto 2012

LA STANZA VUOTA - JUAN VICENTE PIQUERAS


Tradurre una poesia è come scartare un regalo avvolto da tanta carta colorata ed altrettanti nastri con nodi ben stretti. Ma soprattutto il lavoro - o meglio - il piacere di tradurre una buona poesia, è paragonabile a quello che si prova a scriverne una propria, con la differenza che si entra nel mondo dell'autore, se ne intuiscono i pensieri, se ne esplora la saggezza e si torna con qualcosa di nostro: una parola, un modo di accostarla ad altre, di farle risuonare assieme.
E c'è anche un dopo: il ricordo del verso che s'accende allo sfregare della parola ascoltata per caso e altrove. Credo che sia fondamentalmente questo il motivo per cui alcune poesie che di autori contemporanei e che io definirei estremistiche, per contenuti e stile, non possono trovare uno spazio tra le Poesie, non ancora almeno. Magari saranno quei semi che troveranno un buon terreno e germineranno in futuro, ma sarà un futuro in cui sarò contenta di non esserci.
Ma torniamo a quanto è oggetto del post.
Cercavo una poesia di Juan in lingua e mi sono imbattuta nella notizia che aveva conseguito il primo premio del Concorso di poesia Manuel Alcantara, uno dei più prestigiosi concorsi della Spagna. Tutti gli articoli erano concordi ed entusiasti sulla eccezionalità della poetica dell'autore.  E' stata una ricerca difficile, dovendo dapprima partire da niente, poi da un titolo che però contiene parole di uso comune.
Ed eccola. Credo che questa poesia sia veramente una perla, per tutto quello che è, per costruzione, afflato, contenuto.
Dedicata a Carlos Edmundo de Ory, uno dei più grandi poeti spagnoli, è una composizione delicata, scritta con occhi umidi. La parola “morte” non compare nel testo, come se pronunciarla la rendesse vera e irreparabile e l'assenza di Carlos rendesse l'autore stesso quella formica smarrita.
Uno smarrimento inconscio? Io non credo. Chi scrive poesie di questo spessore, non lascia niente al caso e lo si percepisce come uno smarrimento sentito, lo stesso che ci sorprende quando si rende assente una costante della nostra vita.
Difficile emergere da questa lettura gli stessi, caro Juan, almeno a me non è successo.






LA STANZA VUOTA

                                                                            a Carlos Edmundo de Ory


Era uno dei tuoi giochi preferiti.
Cosa c'è in una stanza vuota?,
chiedevi. Restavamo in silenzio.
Cosa c'è in una stanza vuota?

Quelli che non conoscevano il gioco
magari rispondevano: Niente, e tu dicevi: No.
Niente è niente, ho detto cosa.

Finché qualcuno diceva, per esempio: Il silenzio.
E tu dicevi: Si.
Un altro diceva: Polvere.
E il gioco prendeva il volo.

Orme di passi sul pavimento.
Un fantasma. Una spina. Il buco
di un chiodo. La penombra.
Un quadrato sulla parete che tradisce
l'assenza di un quadro. Un filo.
Una lettera sul pavimento
L'orma di una mano sulla parete.
Un raggio di sole che entra dalla finestra.
Una ragnatela. Un pezzo
di carta . Un'unghia. Una formica smarrita.
La musica che viene dalla strada
(Esiste una musica senza nessuno che l'ascolti?)
Una chiazza di fumo o di umidità.
Scarabocchi o uccelli o nomi
o un disegno di Laura sulla parete.

Tu dicevi ad ognuno si o no.
Tu lo sapevi. Eri l'ideatore del gioco.
Tu sapevi già, Carlos, quello che c'era
nella stanza vuota dove sei appena entrato.

Era uno dei tuoi giochi preferiti.

     - Cosa c'è in una stanza vuota?
     - Un fantasma.
     - Lo hanno già detto.
     - Si, ma quello ch´io dico è un altro.





LA HABITACION VACIA

                a Carlos Edmundo de Ory


Era uno de tus juegos preferidos.
¿Qué hay en una habitación vacía?,
preguntabas. Guardábamos silencio.
¿Qué hay en una habitación vacía?
Los que no conocían el juego
tal vez decían: Nada, y tú decías: No.
Nada es nada, he dicho qué.
Hasta que alguien decía, por ejemplo: El silencio.
Y tú decías:
Y otro decía: Polvo.
Y el juego comenzaba a tomar vuelo.
Unas huellas de pasos en el suelo.
Un fantasma. Un enchufe. El agujero
de un clavo. La penumbra.
El cuadrado que deja en la pared
la ausencia de un cuadro. Un hilo.
Una carta en el suelo.
La huella de una mano en la pared.
Un rayito de sol que entra por la ventana.
Una telaraña. Un trozo
de papel. Una uña. Una hormiga extraviada.
La música que llega de la calle

(¿hay música sin alguien que la escuche?).
Una mancha de humo o de humedad.
Garabatos o pájaros o nombres
o un dibujo de Laura en la pared.

Tú ibas diciendo sí o no.
Tú lo sabías. Eras el inventor del juego.
Tú ya sabías, Carlos, lo que hay
en la habitación vacía donde acabas de entrar.
Era uno de tus juegos preferidos.
- ¿Qué hay en una habitación vacía?
- Un fantasma.
- Ya lo han dicho.
- Sí, pero el que yo digo es otro.

6 commenti:

  1. ...sì, questa poesia è davvero una perla.
    Max61

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  2. Ciao,
    sono tornato a rileggere ...la perla.
    Max61

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  3. Mi fa piacere, Max. Mettiti comodo.
    Tutte le poesie hanno bisogno di essere meditate ed assaporate senza fretta; a volte per essere capite, altre per scoprirne nuovi significati e questa di Juan per il gusto di rileggerla, per capire di averla esplorata davvero tutta.
    Nella parte finale, per esempio, il dialogo si svolge tra Carlos e l'autore, lo darei per scontato, ma chi è Carlos e chi l'autore?
    Inizialmente avevo pensato che fosse Carlos a porre la stessa domanda del gioco, ma non potrebbe essere Juan che propone domanda a Carlos?
    E questo è un pensiero arrivato dopo la traduzione e una decina di riletture.
    Vedremo i miei prossimi passaggi a quali altre sfumature mi porteranno.
    Carla

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  4. fantastica !
    E sì, chi parla con chi alla fine è un bel dilemma.
    Forse l'autore vuole che ognuno ci trovi quel che meglio sente??
    Io, ad esempio, ci leggerei l'autore che chiede a se stesso, come a scavare cercando quel che manca, per rendere più nitidi i propri pensieri.
    "Lo hanno già detto" mi somiglia a un "ho già percorso questa strada" ma la risposta "si ma quel che dico è altro" vorrebbe significare " scava scava, che tanto ancora c'è da trovare anche se lo hai già sotto agli occhi perchè è TUA questa casa".
    Chissà...
    Bell'inserimento Carla, bravissima
    Saverio

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    Risposte
    1. La bravura non è mia, ma di Juan.
      Intrigante anche la tua ipotesi di scavare, ma non dimentichiamo che lo abbiamo appena visto entrare nella "stanza vuota", metafora della morte. Tu proponi quindi che la risposta, quella del verso finale, è solo un farsi misterioso, un sapere e non volere (o potere) rivelare cosa c'è "dopo"?
      Può darsi, Saverio, può darsi. E' uno dei pregi della poesia quello di essere aperta alle interpretazioni del lettore.
      Grazie del passaggio e per lo spunto riflessivo.

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